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Giovedì 13 luglio: il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto propone a Bruxelles di istituire un’unica Zes (Zona Economica Speciale) valida per tutto il Sud Italia. La richiesta viene accolta “positivamente”.

In molti, ascoltando o leggendo la notizia, si sono chiesti cosa siano in pratica queste “aree speciali”, come funzionano attualmente, quali benefici hanno portato e in cosa consiste sostanzialmente questa possibile, probabile modifica.

Cosa sono le ZES?

Ebbene, con questo termine si identificano zone geografiche particolarmente svantaggiate ed arretrate dal punto di vista economico e che, attraverso degli incentivi forniti alle aziende operanti sul territorio, possono accelerare nel processo di sviluppo.

Non è un’invenzione tutta europea e nemmeno recente. Basti pensare che già negli anni trenta videro la luce le prime ZES negli Stati Uniti, idea che raccolse poi terreno sempre più fertile arrivando fino in Cina a fine anni ’70. Proprio nel Paese asiatico i benefici derivanti dall’adozione di questa misura speciale risultarono particolarmente rilevanti, peraltro in un lasso di tempo piuttosto breve.

In Europa le ZES sono poco più di 90 (attualmente). Nell’epoca della tanto agognata svolta green i progetti risalenti a queste aree speciali danno vita, in generale, a realtà ecosostenibili e tecnologicamente avanzate.

Il caso italiano

Nel nostro Paese le ZES si concentrano quasi interamente a Sud (anche perché tra i requisiti fondamentali c’è la presenza di almeno un’area portuale nella zona di riferimento), con l’Abruzzo che gioca un ruolo di primo piano se consideriamo le idee effettivamente messe in atto.

Merito del Comitato d’Indirizzo regionale gestito da un Commissario Straordinario che si occupa del coordinamento dei lavori (come previsto dal “Piano Sud 2030”).

A ben vedere le norme riguardanti le ZES italiane, il nostro governo prevede un impegno di almeno dieci anni da parte delle imprese che scelgono di investire nelle aree economiche speciali. Garanzia, in linea di massima, di successo. Peccato, però, che bisogna sempre fare i conti con un giudice piuttosto ostruzionista, ovvero la burocrazia.

ZES unica: medicina o palliativo?

Alla luce di quest’ultimo aspetto ci si chiede se fare di tutta l’erba un fascio possa effettivamente portare ad un miglioramento oppure ad una stagnazione generale.

Analizzando (come fatto sommariamente in questa sede) la genesi delle ZES, indubbiamente possiamo ritenerlo un valido strumento per ridurre, nella fattispecie, l’eterno divario tra il Nord e il Mezzogiorno. Bisogna altresì mantenere l’onestà intellettuale ed affermare che tra il dire e il fare spesso c’è di mezzo un mare piuttosto esteso.

Il Sud, come ribadito più volte dalla voce del sottoscritto e di altri terroni di professione, ha bisogno di politiche serie, sostenibili, realizzabili in tempi ragionevolmente brevi. In riferimento al discorso di cui sopra, forse sarebbe meglio potenziare la macchina organizzativa ed attuativa che già è in essere, tenendo dunque ben distinte regioni che portano pur sempre nomi diversi (e ci sarà una ragione).

Un consiglio più che appassionato che non troverà alcun approdo ma che la penna del sottoscritto sentiva comunque in dovere di mettere per iscritto.

Felice Marcantonio

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