La vita di ogni individuo è caratterizzata dai propri luoghi e dopo l’ambiente famigliare, quello lavorativo rappresenta il più rilevante. Infatti le ore trascorse a lavoro sono equivalenti a quelle in famiglia. È proprio questa riflessione che porta a sottolineare l’importanza di poter lavorare in tranquillità e soprattutto in sicurezza. Ogni impiego risulta essere diverso così come i rischi ai quali si è sottoposti.
Eppure al giorno d’oggi, affiora che alcune professioni siano esposte più di quanto dovrebbero e più di quanto ci si aspetta. Il 2020 ha portato non poco trambusto in tutti i settori, in particolar modo in quello sanitario. Purtroppo, gli strascichi di tanto caos si sono ripercossi sul personale stesso. Risulta essere una contraddizione, in quanto proprio durante la pandemia lo stesso sia stato la prima e se non l’unica colonna portate del Paese. Ricordiamo immagini di non poco conto, avvenimenti quasi surreali che hanno coinvolto infermieri, O.S.S., figure paramediche ed educatori adoperarsi più del dovuto, mettendo a tacere la loro stessa paura.
Il loro contributo nei confronti del sociale e della comunità è stato sottolineato, giustamente.
Eppure, il 12 marzo si celebra la Giornata Nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari o socio-sanitari.
La storia insegna, dicono, ma è evidente e paradossale che vi sia stato un incremento delle aggressioni in ospedale e in altre strutture assistenziali.
I dati
Nurse24 afferma:
“Con una media di 2.500 casi annuali registrati nel settore della sanità e assistenza sociale, gli infortunati sono per quasi tre quarti donne (…). Particolarmente presi di mira gli infermieri, per i quali le aggressioni subite sarebbero circa 5.000 in un anno (spesso quelle verbali non sono denunciate), 13-14 al giorno in media. Ma le mancate denunce e gli episodi non rilevati attestano che il numero è sottostimato e in realtà le violenze, sia verbali sia fisiche, sono almeno 10-15 volte di più. La presidente della Fnopi, Mangiacavalli afferma: “Solo l’impegno comune può migliorare l’approccio al problema e garantire un ambiente di lavoro sicuro.”
Inoltre, “le cause del fenomeno delle aggressioni contro gli infermieri sono multifattoriali e includono: carenza di personale, elevato carico di lavoro, tipologia di pazienti. “
Questo fa emergere anche una necessità spesso sottovalutata nel nostro paese: il bisogno di un incremento del personale sanitario.
“I principali fattori di rischio sono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza, che portano a danni fisici, ma anche disturbi psichici, negli operatori aggrediti.”
Legge 113/2020
La manifestazione di questi episodi di violenza, da quella verbale alla fisica, è inconcepibile. Con l’entrata in vigore della Legge 113 del 14 agosto 2020 si è cercato di frenare una situazione al limite.
La legge consiste nell’aumento delle pene in caso di lesioni agli operatori sanitari, richiede l’istituzione di un Osservatorio nazionale sul fenomeno ed inoltre fissa la Giornata Nazionale del 12 marzo.
Ma il problema, come sempre, va risolto alla radice. Evidentemente, ancora oggi operatori e professionisti della sanità sono etichettati in maniera sbagliata. E’ sorprendente come figure altamente preparate nel loro campo debbano essere vittime di violenza nel loro posto di lavoro. E’ inconcepibile constatare come la loro posizione venga palesemente sminuita.
Spesso si oltrepassa quella linea sottile marcata dalla concezione che un infermiere, un professionista sanitario, proprio per professionalità, debba semplicemente fare assistenza, subire comandi, annuire, come se valesse la regola “il cliente ha sempre ragione” anche in ospedale. E’ bene specificare la sostanziale differenza tra un ospedale e qualsiasi altro luogo comune; nel primo il fine ultimo è la cura, obiettivo principale del personale e del paziente stesso. Un obiettivo comune che dovrebbe implicare fiducia, tolleranza e gratitudine. Come ogni lavoratore esposto ad un rischio ne subisce il pericolo, non appare assurdo che il paziente stesso lo sia?
I fatti di cronaca raffigurano proprio come la funzione del personale sanitario in ambito lavorativo venga ridotta al solo compimento del lavoro stesso, come se fossero macchine da esecuzione. Alla base c’è ben altro, come la partecipazione durante le diagnosi, la somministrazione attenta della terapia ma non solo, soprattutto la vicinanza al paziente. E’ irragionevole come questa possa diventare violenza.
La salute è intesa come fondamentale diritto ed interesse della collettività, ce lo ricorda la Legge n.833 del 1978. Ma la consapevolezza di tale prerogativa è spesso traslata in abuso. In primo luogo, dovrebbe essere interiorizzato il concetto secondo cui tale diritto debba essere tutelato e protetto, esattamente come chi ha scelto per tutta la sua vita di rappresentarlo.
Claudia Coccia
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