“Tutti quei ragazzi che credevano in me e che hanno perso fiducia nella giustizia, oggi devono parlare”. Queste frasi risalgono al dicembre 2003 ed appartengono al “Pirata” Marco Pantani, lo scalatore più forte di tutti i tempi.
Da lì a due mesi circa il campione romagnolo sarebbe stato trovato senza vita nella stanza D5 del residence “Le Rose” di Rimini. Quel maledetto giorno di vent’anni fa è sempre attuale, tanto più perché sono ancora molte le ombre che avvolgono la vicenda.
“Se n’è andato”, titolò in prima pagina La Gazzetta dello Sport. “Ce l’hanno portato via”, correggerà la penna del sottoscritto.
Ma prima di spiegare le ragioni che portano ad affermare con rinnovata convinzione che il “caso Pantani” va etichettato come omicidio e non suicidio, urge tornare ancora più indietro nel tempo, a quel 5 giugno 1999, quando il ciclista di Cesenatico venne, difatti, “ucciso” per la prima volta.
Pantani è a Madonna di Campiglio con tutta la carovana del Giro d’Italia. Indossa la maglia rosa e si appresta a conquistare per il secondo anno consecutivo la corsa più prestigiosa dello Stivale. Va ricordato, inoltre, che il capitano della Mercatone Uno è il corridore più famoso del momento; merito senz’altro dell’anno passato, il 1998. In quella stagione il ragazzino che sognava di fare il calciatore e che poi scoprì la bicicletta grazie al nonno Sotero, non è soltanto colui il quale va “bene in salita” (come appuntò il suo primo e sempre fedele allenatore Pino Roncucci). Marco Pantani consegnerà alla storia due pagine memorabili, l’una scritta a Montecampione, l’altra sulle Deux Alpes. Risultato: l’accoppiata perfetta, Giro d’Italia più Tour de France portati a casa, maglia rosa e maglia gialla sovrapposte sulle spalle di un solo uomo, il “Pantanissimo”. Nessuno dopo il Pirata è ancora riuscito in una simile impresa.
“A Campiglio, quel giorno, la Madonna non c’era”
Torniamo quindi alla funesta data del 1999, la quale (singolare caso del destino) coincide con l’anniversario della prima grande vittoria di Pantani sulle strade del Giro, cinque anni prima, quando sul Mortirolo riscrisse le leggi della fisica scattando a sessanta chilometri dall’arrivo prima di conquistare la tappa in solitaria.
Quel giorno, come da prassi, i ciclisti si sarebbero sottoposti ai canonici test per verificare che tutti i valori fossero nella norma. Pantani, come racconteranno poi i suoi collaboratori, era tranquillo avendo fatto l’esame del sangue la sera precedente. Il Pirata attendeva dunque quella mattina gli ispettori di gara nella propria stanza d’albergo. Col senno di poi, una prima significativa anomalia va riscontrata nella procedura adottata dagli addetti al prelievo, utile a rilevare l’ematocrito della maglia rosa; da regolamento UCI spettava al corridore stesso scegliere la propria provetta tra tante. Nel caso di Pantani la numerologia era stata stabilita a priori, seguendo tra l’altro (altra anomalia) un ordine decrescente. “Controlla bene che poi non voglio storie”, verrà detto all’operatore preposto. Di quali “storie” si trattava?
Fatto sta che poco dopo arriverà il comunicato ufficiale, che sottolineerà un valore di ematocrito pari a 53, dunque oltre la soglia limite posta a 50. Va precisato che ciò non sta a significare che il corridore in questione si sia dopato. Pantani non verrà dunque squalificato, bensì costretto al ritiro in primis per preservare la propria salute. Questo sottile ma rilevante particolare, però, passò in secondo piano agli occhi dell’opinione pubblica (incredula) e della stampa (pronta ad infierire). Marco Pantani verrà scortato all’uscita dai carabinieri, come se lo stessero arrestando. Indossa una felpa grigia, come il suo umore. “Mi dispiace solo per il ciclismo”, dirà.
Il Pirata, comunque, non si rassegnò e si recò nel pomeriggio ad Imola per sottoporsi nuovamente al test incriminato. La procedura venne ripetuta due volte, con esito 48. Com’era possibile che in poche ore l’ematocrito avesse subito uno scarto di valori così marcato?
La risposta, chiamando in causa la medicina, sta nel rapporto tra il plasma e le piastrine. Nel test ufficiale che portò all’allontanamento di Pantani dalla corsa rosa si riscontrò un crollo verticale del valore delle piastrine. Ciò è scientificamente impossibile che accada, a meno che l’esame non venga manomesso attraverso la pratica della “deplasmazione”.
Al processo postumo la scienza venne messa in discussione, a fronte di singolari tesi e palesi dichiarazioni false. Per modificare arbitrariamente l’ematocrito occorre un lasso di tempo incompatibile con quanto sostenuto dagli ufficiali di gara. Peccato che il prelievo avvenne di gran lunga in anticipo rispetto a quanto indicato. Come se non bastasse, la Procura di Forlì avrebbe scoperto poi che la fiala di Pantani era l’unica con il numero 0, quindi chiaramente riconoscibile.
“Quel giorno a Campiglio la Madonna non c’era”, commenterà amaramente il Pirata, il quale assorto nei propri pensieri confesserà ad amici e parenti l’impossibilità di riprendersi da una batosta del genere.
Tour de France 2000 – San Valentino 2004: dall’ultima impresa all’addio
La bicicletta, però, era sempre lì. La cura delle due ruote da’ qualche effetto al Tour del 2000 quando la montagna vedrà ancora una volta protagonista il suo prediletto attore. Pantani riuscirà ad infliggere un duro colpo a Lens Armstrong, colui il quale barò per davvero pur di raggiungere lo status di numero uno (verrà accertato diversi anni dopo).
La giustizia, nei tribunali, non fa però il suo corso. A fronte di dichiarazioni clamorose di pentiti, al cospetto di un’intercettazione casuale che registrò una telefonata tra Rosario Tolomelli (compagno di cella di Renato Vallanzasca) e la figlia, nessun magistrato, ad oggi, ha avuto il coraggio di ammettere che Pantani è stato incastrato.
Al Pirata, sempre più fragile, non restò che chiudersi in sé stesso aprendo non di rado le porte alla droga. E veniamo quindi al giorno di San Valentino del 2004, trionfo dell’amore per eccellenza (beffardo associarlo proprio al triste evento in questione).
“Caso Pantani”: troppe anomalie
In una camera devastata il corpo del Pirata venne rinvenuto a terra esanime. La prima indagine avrebbe concluso che Marco Pantani si suicidò assumendo spontaneamente (badiamo bene al termine) un mix di farmaci e cocaina. Eppure, il cadavere presentava diverse lesioni contusive. Queste vennero giustificate dalle stesse medicine ingerite, le quali però corrispondevano ad antidepressivi, che provocano effetti calmanti, agli antipodi dunque rispetto alla presunta ira funesta che avrebbe assalito il Pirata.
Togliendo altro fumo dagli occhi, si noti inoltre la deposizione del medico legale, il quale in un primo momento indicò l’ora del decesso attorno alle 17, salvo poi anticiparla di ben cinque ore. Un errore di valutazione piuttosto grave per un esperto in materia, no?
Dando uno sguardo ancora agli oggetti, questi sono sì fuori posto ma praticamente intatti. Come è mai possibile che una persona delirante scaraventi a terra un qualcosa di piuttosto fragile, come uno specchio, e non lo rompa?
Il culmine della ricostruzione viene però toccato dall’analisi delle testimonianze. I lavoratori del residence affermarono che Pantani per tutto il soggiorno non è mai uscito dalla struttura e non ha ricevuto visite. Queste affermazioni vennero considerate dagli inquirenti come una sorta di “Vangelo”, senza verificarne l’effettiva attendibilità. Si ricordi a tal proposito che la struttura era dotata di un accesso secondario non controllato da alcuna telecamera. Ergo, chiunque avrebbe potuto uscire e rientrare senza essere notato. Ma ciò venne considerato irrilevante…
Sappiamo anche che Pantani in realtà almeno una volta lasciò la propria camera, per rifornirsi dal proprio pusher di fiducia, Fabio Miradossa. Lo stesso sostiene che il Pirata gli doveva circa 20mila euro (soldi mai ritrovati) e che abitualmente non tirava di cocaina ma la fumava (nella stanza non furono trovati elementi utili a provare questo). Perché la magistratura ha tralasciato dichiarazioni così importanti?
Completa il quadro la famosa pallina ritrovata accanto al cadavere, un bolo fatto di mollica di pane e droga. Secondo la ricostruzione ufficiale, Pantani avrebbe espulso quella pallina poco prima di morire. Qualcosa non torna, dato che il bolo è stato ritrovato perfettamente bianco e liscio, senza segni di masticazione e senza tracce di rosso sangue.
C’è poi la testimonianza dei primi soccorritori del 118, i quali affermarono da subito di non aver notato la pallina accanto al corpo. I sanitari in questione sostarono in uno spazio piuttosto ristretto per circa mezz’ora senza accorgersi di un particolare simile? Se crediamo che gli asini effettivamente volino è possibile.
Chi è perché ha ucciso Marco Pantani?
Anche queste parole vennero dimenticate da chi, nel corso di tre indagini, ancora segue la strada della menzogna.
Tornando in chiosa all’eredità che il Pirata ha voluto lasciare ai numerosi ricercatori di verità, alla luce di oggettivi dati sopra esposti non si può fare a meno di chiedersi, ancora per chissà quanto tempo, chi è perché uccise Marco Pantani, un campione ed un uomo che, come tutti, aspettava il domani.
In chiosa l’invito all’ascolto del commovente brano scritto ed interpretato da Gaetano Curreri dal titolo “E mi alzo sui pedali“, dedicato proprio a Marco Pantani.
“E mi alzo sui pedali” – Stadio
Felice Marcantonio
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