Riusciremo a fare a meno del gas russo?
Sono passati all’incirca cinquanta giorni dall’inizio della Guerra in Ucraina e sin da subito la posizione dell’UE e le rispettive sanzioni nei confronti della Russia ci hanno palesato uno dei “problemi” a cui forse non si era pensato così tanto fino a poco prima: la dipendenza dal Gas.
Di fronte a questi crimini di guerra cui siamo testimoni l’UE prosegue con il quinto pacchetto di sanzioni: entro 120 giorni i Paesi europei elimineranno completamente le importazioni di carbone dalla Russia, che rappresenta la principale fonte di entrata del Cremlino.
Preoccupa però il totale embargo di gas e petrolio. Specialmente Germania e Austria che dipendono fortemente dai combustibili russi si dicono allarmati.
D’altro canto lo stesso Vladimir Putin se dovesse proseguire con la già annunciata intenzione del pagamento in rubli ci metterebbe di fronte a enormi difficoltà date proprio dalla mancanza di ulteriori fonti necessarie.
La guerra in Ucraina, seppur non l’unica, ci coinvolge particolarmente, eppure così come Germania e Austria anche l’Italia fatica a poter provvedere autonomamente per sé e questo determina la preoccupazione dei cittadini.
“Ci chiediamo se il prezzo del Gas possa essere scambiato con la pace. Cosa preferiamo? La pace o stare con il termosifone acceso, anzi oramai con il condizionatore acceso tutta l’estate?… Questa è la domanda che ci dobbiamo porre” è così che il primo ministro Draghi ha risposto, alla fine della conferenza stampa sul Def lo scorso 7 Aprile, a una domanda sull’aumento dei costi dell’energia.
Il rincaro delle bollette in un inverno particolarmente freddo e lungo, come quest’ultimo, ha costretto chiunque a dover rivedere le proprie abitudini, anche nel piccolo e le domande si sovraffollano di continuo: perché dipendiamo così tanto dalla Russia? Qual è il problema della nostra penisola? Mancano forse i giacimenti necessari?
L’Italia, secondo gli ultimi dati del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), nel 2021 ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, mentre il consumo è attestato a 76,1 miliardi di metri cubi. Importa, infatti, proprio da Mosca il 40% del gas che consuma.
È certo però che nei giacimenti italiani vi siano all’incirca 350 miliardi di metri cubi di gas e si troverebbero nel Mar Adriatico, in particolare davanti alle coste dell’Emilia Romagna, delle Marche, dell’Abruzzo e del Molise, nel Canale di Sicilia, sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna. Trent’anni fa, difatti, in Italia venivano estratti fino a 20 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno.
Ad oggi, dunque, in totale vi sono circa 1.298 pozzi produttivi di gas naturale, ma più di 750 non sono attivi.
A fermare lo sviluppo e la produzione nazionale è stato il piano Pitesai, nato all’inizio del 2019 come strategia alternativa alle trivelle per l’esplorazione e la produzione di metano, per la tutela dell’ambiente. Nel 2014 secondo i dati Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) i fondali marini al di sotto delle piattaforme avevano superato i livelli di inquinamento nel 79% dei casi.
La necessità di sganciarci però dalla Russia ha portato il premier Mario Draghi a siglare con l’Algeria un accordo per aumentare le forniture di gas fino a 9 miliardi di metri cubi (che possono arrivare fino a 11) che aumenteranno in modo graduale fino ad assestarsi nel corso del 2023 e 2024.
“Gli accordi con l’Algeria firmati in occasione di questo viaggio sono una prima e significativa risposta a questo obiettivo strategico. Il governo è al lavoro per difendere i cittadini e le imprese dalle conseguenze del conflitto che sta devastando il popolo ucraino” ha chiarito il premier durante la conferenza stampa tenutasi al palazzo governativo di Algeri. Si tratta, dunque, della messa in atto della strategia di stratificazione delle fonti energetiche.
Certo, i 9 miliardi di metri cubi o gli eventuali 11 previsti dallo stesso accordo, sono comunque pochi rispetto ai 30 miliardi comprati fino ad ora da Mosca. L’obiettivo principale è quello di stratificare i fornitori. A tal proposito sono previsti subito dopo Pasqua ulteriori incontri con Angola e Congo tra il 20 e il 21 aprile, per continuare il piano. “L’Italia ha tanti partner disponibili ad aumentare la partnership energetica con noi” ha affermato Luigi Di Maio.
Quello che è certo è che per emanciparci totalmente da Mosca occorrerebbero almeno un paio d’anni, in quanto il gas non è necessario solo per le utenze domestiche e industriali, ma anche per alimentare parzialmente le centrali termoelettriche per la produzione di energia che hanno un andamento uniforme tutto l’anno.
Nel mentre il piano strategico appare comunque un’ottima e necessaria strada, anche se risulta comunque evidente la necessità di incrementare anche la produzione nazionale grazie al potenziamento dei rigassificatori già esistenti nel nostro Paese.
Carmela Fusco
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