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Capitolo 3: Mercuzio

Aimé, signori miei, quanti di voi in vita vostra hanno mai assistito ad una rissa da taverna? Non è per niente un bello spettacolo, ve lo posso assicurare, ma fu proprio a causa di una di esse che, una notte come tante, feci conoscenza di uno stravagante e bizzarro giovane. Ma vedo che siete impazienti di sapere chi era.

Ebbene, miei cari, posso solo anticiparvi che il suo nome era Mercuzio.

Amici miei, per farvi almeno un po’ comprendere e non condannare del tutto gli animi di chi passa intere notti ad ubriacarsi in una bettola vicino ad un corso d’acqua devo prima parlarvi delle notti londinesi. “Cosa centra questo con la vostra storia?” , vi starete chiedendo voi, ma fidatevi e prestatemi orecchio e presto lo scoprirete.

Le notti londinesi possono essere dolci e inebrianti come il miele appena raccolto da un alveare se hai con chi dividere il tuo letto e le tue pene, ma possono anche essere amare come il fiele se ti ritrovi solo a passeggiare per le deserte vie. E, ahimè, purtroppo la maggioranza della mia clientela faceva parte proprio di quest’ultima categoria! Anime in pena, spesso insoddisfatte o arrabbiate con la vita, che trovavano solo nell’alcol la cura per i loro mali.

Ed io, anche se dovevo gioire delle loro pene perché eran proprio quest’ ultime ad incrementare la mia borsa, segretamente e in cuor mio invece ne soffrivo, perché non vi è niente di più triste, signori mie, di vedere intere vite spezzate da otri colmi di birra.

So che in questo momento mi disapproverete perché non fa onore ad un oste parlare in tal maniera, ma prestate attenzione alle vicissitudini del giovane che vi sto per narrare e forse così potrete anche solo in parte capire.

Come vi avevo già accennato in precedenza, miei cari amici, non c’è niente di più brutto (oltre ovviamente a parteciparvi!) di assistere ad una rissa di taverna! I linguaggi più volgari e scurrili si mescolano tra loro in un turbine senza fine di imprecazioni, minacce e offese e molte volte purtroppo tutte queste intimidazioni vengono accompagnate anche dai fatti.

E proprio questo avvenne quella sera in cui conobbi quel giovane che vi ho menzionato prima. Faceva parte di una combriccola particolarmente chiassosa che in meno di due ore aveva svuotato due interi otri della mia migliore birra, ma si distingueva dagli altri per il suo bell’aspetto e per i tratti del volti inconfondibilmente italiani. Passavano però talmente tanti giovani stranieri, signori miei, nella mia modesta bettola ,che onestamente non vi prestai molta attenzione.

Fu solo quando sentì un’imprecazione seguita da un rumore di spade appena sfoderate provenire dal suo tavolo che catturò tutto il mio interesse. -Miei buoni signori- ,esordì avvicinandomi al loro tavolo tentando di calmare le acque, -posso sapere il motivo che vi scalda gli animi in questa fredda notte?- .

-Niente di cui dovete preoccuparvi mio buon oste- esclamò allora il giovane di bell’aspetto.

-Portateci delle altre caraffe della vostra miglior birra e vedrete come i nostri animi inquieti si acquieteranno-. Così obbedì e per essere certo che la disputa non si rianimasse mi sedetti vicino a colui che aveva parlato a nome di tutti.

-Non siete di Londra, mio signore, immagino- esclamai ad un tratto cercando di catturare la sua attenzione.

-No, buon locandiere, vengo da un paese molto più caldo e, grazie a Dio, molto più accogliente di questa vostra fredda e inospitale Londra! Avete voi mai sentito parlare della bella Verona? E quello il nome della città dalla quale provengo- .

-E, se posso chiedervelo, cosa vi porta qui?- chiesi ora sinceramente interessato.

-Affari- rispose questi con tono indifferente, sorseggiando la sua birra. -Affari per il mio buon amico Montecchi. Ecco dunque che vi ho rivelato senza volerlo il nome di colui per la quale ho intrapreso questo lungo viaggio. Ora provvederò a rivelarvi anche il mio di nome, dato che siamo entrati in confidenza.

Mi chiamo Mercuzio, per servirvi- .

-E non ha questo vostro amico figli maschi a cui delegare i suoi affari invece di scomodare voi?- esclamai senza pensare, ma subito mene pentì e cercai di correre ai ripari.

-Scusate, mio signore, avvolte la mia lingua e più veloce del mio cervello! Non sono affari miei-.

Il giovane però sembrò divertito dalla mia insolenza e ne rise di cuore, rivelando così di esser uno di quelli a cui piaccion gli scherzi e le risa.

-Tranquillo oste. Non sei stato troppo sfacciato. Comunque si, un figlio maschio ce l’ha, ed è per giunta il mio migliore amico! Romeo, questo è il suo nome. Ma è un giovane così mesto e tormentato dalle pene della vita che suo padre non se la fida ad affidargli i suoi affari- .

-Alla vostra età tutte le pene del cuore sembran problemi insormontabili- commentai allora io con una mezza risata ripensando alle miei pene di gioventù, che allora mi eran sembrate così importanti ma che con l’avanzare dell’età avevan perso tutta la loro importanza.

Il ragazzo rise di nuovo. -Non per tutti e così! Prendete me ad esempio! Mi basta avere una donna nel mio letto, una caraffa di buona birra tra le meni e degli amici con cui berla e sono felice! La vita è troppo breve per sprecarla tormentandosi, mio buon oste. E’ molto meglio bere e divertirsi. E tra una bevuta e l’altra magari prendersi qualche rivincita su quei dannati Capuleti!-.

Lo guardai non capendo a cosa si riferisse.

-Certo, amico mio, voi non capite- aggiunse il giovane notando la mia espressione interdetta e iniziò a narrarmi dell’antico odio fra queste due famiglie di Verona. Un’ odio antico come il mondo, a suo dire, impossibile da sanare.

Mi disse anche che questi Capuleti avevano una figlia, una certa Giulietta, bimbetta infantile e insignificante a suo parere, e udite queste sue ultime parole un’idea mi balenò nella mente.

-E se per caso questi due rampolli si dovessero innamorare pensate voi che il loro amore sarebbe sufficiente a porre fine a questa antica faida?- proposi quindi con tono di scherzo.

Udite queste mie osservazione il giovane mi guardò come se fossi appena uscito di senno, ma subito si ricompose sfoderando quel suo mezzo sorriso beffardo che, aimè, amici miei, mi sa che usava come arma per nascondere i suoi reali pensieri.

-Vedo che anche voi oste siete un romantico, ma mi dispiace deludervi. Con l’amore non si risolve un bel niente. Con le spade si decidono i destini delle famiglie. Con esse e solo con esse- .

Quanta tristezza udite quelle amare parole, provò il mio povero cuore, amici miei. E quanta amarezza! Mi chiesi come poteva un giovane così allegro e pieno di vita essere così cinico nei confronti dell’amore e dell’esistenza.

Perso com’ero nelle mie meditazioni non mi resi conto di quanto si fosse fatto tardi e quando alzai lo sguardo vidi che la locanda si era quasi del tutto svuotata.

-Mio buon uomo credo che sia venuto il momento di dirci addio- esclamò il giovane al mio fianco ad un tratto.

-La notte è ancora giovane e non è mai troppo tardi per fare baldoria- . E pronunciate queste ultime parole si congedò e uscì nella notte fredda.

Uno strano senso di vuoto mi colpì nel momento che le nostre mani si strinsero e per la prima volta in vita mia, vi confesso, fui felice di non essere più giovane. Almeno io non avevo più una vita intera d’avanti da gettare tra bordelli e otri di vino!

Oh, miei buoni signori quanto può essere brutta la giovinezza se non si ha uno scopo a cui dedicarsi! E ora che anche questa storia avete udito fate tesoro di queste mie ultime parole e non sprecate la vostra esistenza come fece invece il giovane Mercuzio. Non chiudete il vostro cuore come fece lui, ma lasciatelo libero di vivere e amare.

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