libertà Archivi - La Voce del Sud https://www.lavocedelsud.org/tag/liberta/ “Se si sogna da soli, è un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia. ” Sat, 02 Jul 2022 10:09:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 199277288 Attacco alla libertà https://www.lavocedelsud.org/attacco-alla-liberta-corte-suprema-usa-abolisce-il-diritto-all-aborto/ https://www.lavocedelsud.org/attacco-alla-liberta-corte-suprema-usa-abolisce-il-diritto-all-aborto/#comments Sat, 02 Jul 2022 10:00:42 +0000 https://www.lavocedelsud.org/?p=3225 Ribaltata la sentenza Roe vs. Wade che da cinquant’anni garantiva il diritto di aborto: ogni Stato potrà legiferare sul diritto all’aborto e introdurre restrizioni fino ad abolirlo del tutto

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Corte Suprema USA abolisce il diritto all’aborto. Ogni Stato potrà legiferare autonomamente

Attraverso queste parole: “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”, la Corte Suprema USA ha soppresso la sentenza Roe vs. Wade – che garantiva l’aborto legale a livello federale nel Paese.

La maggioranza conservatrice, che domina la Corte Suprema, trascina così gli Stati Uniti indietro nel tempo, abolendo mezzo secolo di lotte per i diritti sessuali e riproduttivi delle donne.

Ma che cos’è la sentenza Roe vs. Wade?

Si tratta di un processo del 1973 legato alla texana Norma McCorvey (per privacy Jane Roe). La ragazza a 16 anni aveva sposato un uomo violento e dopo aver avuto due figli aveva espresso la volontà di non far nascere il terzo. Henry Wade, invece, era l’avvocato che rappresentò la parte avversa (lo Stato del Texas) nel processo. Alla fine della causa, in maggioranza i giudici garantivano l’aborto a livello federale. La sentenza Roe vs Wade ha delineato, per cinquant’anni, un fondamento del movimento abortista, una pietra miliare nella giurisprudenza statunitense sull’aborto.

Cosa è successo in America e cosa cambia dopo la decisione della Corte Suprema?

Pochi giorni fa, il 24 giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che ogni stato americano può limitare o vietare l’interruzione volontaria di gravidanza sul proprio territorio. Interessante è che il ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade rappresenta, per di più, una conseguenza del fatto che durante il suo mandato Trump era stato in grado di far eleggere, alla Corte Suprema, numerosi giudici di orientamento conservatore.

Già a inizio maggio, un sito di news americano aveva diffuso in anteprima la notizia attraverso la bozza di un documento interno della Corte Suprema.

Secondo il Guttmacher Institute, 26 Stati sarebbero già pronti, in assenza di questa legge, a vietare l’aborto, lasciando circa 25, 5 milioni di donne in età riproduttiva senza tutele. Molti Stati infatti hanno già pronte leggi che entreranno immediatamente in vigore.

Alabama, Arkansas, Idaho, Kentucky, Mississippi, Texas hanno già dichiarato di voler rendere illegale la pratica. Lo Stato di New York, la California e l’Oregon assicurano la continuità del diritto all’aborto cosi come lo stato di Washington.

Con questa sentenza gli USA diventano uno dei quattro Paesi, insieme a Polonia, El Salvador e Nicaragua, che negli ultimi vent’anni hanno ridimensionato il diritto all’aborto.

Aborto, l’Italia è così distante dagli Stati Uniti?

La decisione della Corte Suprema, ovviamente, ha fatto grande scalpore, riaccendendo il dibattito anche in Italia.

Nel nostro Paese dal 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza – nei primi 90 giorni dal concepimento – è tutelata dalla legge 194. Sebbene la legge italiana garantisca questo diritto da più di quarant’anni, il 67% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37% del personale non medico è obiettore di coscienza.

La legge c’è ma resta una strada piena di ostacoli

In alcune Regioni riuscire ad accedere all’aborto in maniera dignitosa è difficile o addirittura impossibile.

Spesso lo stigma nei confronti della paziente da parte del personale medico rende l’operazione umiliante, dolorosa e lesiva della dignità della persona.

Non mancano i racconti di donne che hanno dovuto attendere per settimane per poi essere insultate e colpevolizzate al momento dell’intervento.

Milioni di persone in tutto il mondo sono scosse dopo la sentenza americana. Trovare le parole per descrivere lo sconforto provocato da questa decisione sconcertante è complesso.

Dobbiamo realizzare che il cammino per i diritti non è mai un percorso semplice e non bisogna dare per acquisiti i risultati positivi ottenuti negli anni. Tutto sembra non avere una fine. Ancora oggi punti cardine della nostra società vengono continuamente messi in discussione col rischio di fare un passo indietro ogni giorno. Il paradosso è che tutto è avvenuto e sta avvenendo in quella che viene definita “la più grande democrazia del mondo”.

Loredana Zampano

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Sognando la libertà… https://www.lavocedelsud.org/sognando-la-liberta/ https://www.lavocedelsud.org/sognando-la-liberta/#respond Mon, 25 Apr 2022 10:00:00 +0000 https://www.lavocedelsud.org/?p=2599 Sono passati ben 77 anni da quel 25 aprile 1945, eppure ancora in molti (non solo bambini) si chiedono cosa si festeggia oggi. A questa domanda sapranno rispondere, non senza un velo di commozione, tanti nostri antenati che quel giorno poterono finalmente gioire dopo anni di guerra. Già, perché quel 25 aprile segnò la cacciata […]

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Sono passati ben 77 anni da quel 25 aprile 1945, eppure ancora in molti (non solo bambini) si chiedono cosa si festeggia oggi. A questa domanda sapranno rispondere, non senza un velo di commozione, tanti nostri antenati che quel giorno poterono finalmente gioire dopo anni di guerra. Già, perché quel 25 aprile segnò la cacciata dei nazifascisti dal territorio italiano in seguito alla liberazione dell’ultima grande città italiana ancora alle prese con scampoli di frustrazione dittatoriali. Quella città era Milano, sede del comando partigiano; sì, proprio di quel movimento di Resistenza che ha permesso ai nostri nonni di poter costruire il futuro, ai nostri padri e alle nostre madri di darci la vita e a noi di essere qui oggi a dire ancora una volta GRAZIE, semplicemente questo.

Eppure, spesso ricordando il 25 aprile si fa confusione tra due termini apparentemente simili: liberazione e libertà. Come recita il calendario, oggi è il giorno della liberazione dell’Italia. Il che evidenzia una condizione di recuperata indipendenza rispetto ad un soggetto che ci opprimeva. Quel 25 aprile però non abbiamo automaticamente conquistato anche la libertà. Questa, se ci ragioniamo un attimo, è una sorta di causa ed effetto di uno Stato democratico. Tra i principi fondanti di quest’ultimo c’è proprio la facoltà di ogni individuo di essere libero. Una prerogativa che si estende chiaramente dall’individuo singolo alla collettività. Ma per far sì che la libertà si esprima alla massima potenza (e qui sta il punto di dissonanza rispetto al concetto di liberazione) non c’è bisogno di svincolarsi da qualcuno che ci opprime, che ci impedisce di essere liberi.

In poche parole, la liberazione è sempre di parte, la libertà invece è universale.

Quel 25 aprile noi italiani ci liberammo dal nostro oppressore nazi-fascista, ma non fummo per questo liberi. La nostra libertà, semmai, venne sancita definitivamente il 1° gennaio 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione repubblicana e, se vogliamo, ancora prima, il 2 giugno 1946 quando scegliemmo di non essere più sudditi (quindi in qualche maniera sempre oppressi) ma cittadini. Vero è che qualcuno potrebbe controbattere sostenendo che anche sotto una Repubblica in definitiva c’è stato e c’è ancora chi ci tiene sotto scacco non rendendoci realmente liberi. Riflessione più che giusta e che ci porta a questo punto in una sorta di dimensione pessimistica da far invidia persino a Leopardi!

In effetti, la libertà, quella vera, nessuno di noi l’ha mai raggiunta né, a ben vedere, potrà mai ottenerla. La storia del mondo gira sempre attorno all’eterna lotta tra “il pesce grande e il pesce piccolo” ed è implicito che il primo mangerà, o almeno cercherà sempre di farlo, il secondo.

Morale della favola: avremo sempre chi ci opprimerà? Sicuramente, qui in Italia (e diciamo pure fortunatamente), non nelle forme dei totalitarismi dei primi decenni del Novecento. Ma è altrettanto vero che una festa della libertà non potremo mai viverla, è contro natura.

In questo 25 aprile ciò che possiamo fare è ancora una volta ringraziare chi ci ha permesso di liberarci dalla tirannia e ci ha offerto una parvenza di libertà, una bella illusione che ci permette comunque di vivere nel senso più vicino possibile all’essenza del termine. Quest’anno, poi, come italiani c’è da festeggiare ancora di più, facendo ancora più rumore, sperando che l’eco arrivi ai confini d’Europa, dove qualcun altro sta combattendo sognando il proprio “25 aprile”.

Felice Marcantonio

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“Eco di Mosca”: l’ultimo baluardo della resistenza russa https://www.lavocedelsud.org/eco-di-mosca-lultimo-baluardo-della-resistenza-russa/ https://www.lavocedelsud.org/eco-di-mosca-lultimo-baluardo-della-resistenza-russa/#respond Wed, 09 Mar 2022 11:30:30 +0000 https://www.lavocedelsud.org/?p=2193 La libertà è la donna più ambita su questa terra. Essa assume diverse sfaccettature e si manifesta in diverse forme. In questi giorni abbastanza angoscianti, la si reclama ai confini dell’Europa, in Ucraina, nella sua forma più totale; ciò che chiede il popolo ucraino è sostanzialmente il diritto a vivere. In quei territori oggi martoriati […]

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La libertà è la donna più ambita su questa terra. Essa assume diverse sfaccettature e si manifesta in diverse forme. In questi giorni abbastanza angoscianti, la si reclama ai confini dell’Europa, in Ucraina, nella sua forma più totale; ciò che chiede il popolo ucraino è sostanzialmente il diritto a vivere. In quei territori oggi martoriati dal “regime” di Putin ci si organizza come si può per resistere al nemico e per sposare appunto la libertà. Per semplificare un po’, potremmo dire che l’Ucraina ha trovato un padre-padrone davanti a sé che non vuole far sposare la figlia con il vicino. Come spesso capita però quando si è guidati da un amore forte e sincero, la gente ucraina è talmente pazza della libertà che sicuramente condurrà la propria battaglia fino in fondo.

A combattere per la libertà, seppur in una forma meno estrema, ci sono anche altre figure che in questi giorni cercano di sopravvivere nella Grande Madre Russia. Questi corrispondono a quella schiera di amanti della parola libera e diretta la cui convivenza è stata messa in crisi dal volere di qualche “parente serpente”. Nella fattispecie il riferimento è ad un’emittente radiofonica nata quasi 32 anni fa, più precisamente il 22 agosto del 1990. Questa radio si chiamava (urge usare almeno ufficialmente il passato) “Eco di Mosca”. Il 3 marzo scorso, i dipendenti di uno dei capisaldi dell’informazione libera (o almeno il più vicino possibile) russa hanno ottenuto il ben servito dal Consiglio di amministrazione che con un lapidario comunicato ha deciso di chiudere “baracca e burattini”, come si suol dire, decretando la chiusura immediata della stazione radiofonica e del suo sito web. Il motivo di questa drastica decisione risiede nel fatto che l’emittente ha usato termini “impropri” per definire la guerra in Ucraina. “Guerra”, appunto, “invasione”, parole bandite dall’organo di controllo del Cremlino perché giudicate false espressioni, fuorvianti appellativi della “missione speciale” comandata da Putin.

Ma perché ha fatto così tanto scalpore la chiusura dell’Eco di Mosca? Bisogna necessariamente fare un excursus storico per comprendere il peso specifico di questa realtà all’interno di un sistema d’informazione manipolato dal despota di turno (salvo rare eccezioni) com’è quello russo.

“ECO DI MOSCA”: ORIGINI DI UN’UTOPIA

Nata come anticipato nel 1990 con il sole che stava per tramontare sull’URSS, la stazione radio fu pensata da Sergey Korzun, “il giornalista della verità”, come venne definito. Egli era un moscovita vissuto sotto il regime sovietico ma educato, come testimoniano i suoi studi, ad una cultura francese che lo avvicinava a posizioni più propriamente liberali, occidentali. Negli anni della perestrojka, l’Unione sovietica guidata da Michail Gorbaciov deve in parte a Korzun la scoperta dei principi di convivenza democratica. Sì, perché era proprio il giornalista in questione che in quegli anni di cambiamenti veicolò l’informazione comunista attraverso programmi alla radio e in TV. Potremmo dunque definire il suddetto giornalista come un’istituzione dell’informazione sovietica. Fino a quell’estate del 1990, quando assieme ad altri amici Korzun decise di creare una nuova realtà che avesse un unico obiettivo: raccontare al popolo russo la verità, la sola ed unica, senza manipolazioni varie. Da allora pian piano “Eco di Mosca” è diventata il baluardo della libera informazione, una casa sicura per tutti quei cittadini che volevano togliersi i paraocchi del comunismo rosso fino al midollo e tentavano, un po’ insicuri, di aprirsi al mondo, quello vero. Lo spirito di libertà (e qui torniamo al filo conduttore del discorso) non abbandonò mai il fondatore della radio moscovita, tant’è che nel 1996 questi decise di lasciare il suo incarico perché si considerava un giornalista indipendente, svincolato pertanto da logiche di squadra.

Sergey Korzun, fondatore “Eco di Mosca

LA GESTIONE VENEDIKTOV

La pesante eredità di Korzun venne raccolta da Alexey Venediktov che, a vederlo in foto, assomiglia ad una sorta di reincarnazione di Karl Marx.

Alexey Venediktov, caporedattore “Eco di Mosca”

Moscovita anche lui, nasce da una famiglia divisa tra le idee patriottiche del ramo paterno ed una più spiccata vocazione democratica da parte materna. Sin da ragazzo Alexey mostrò il suo spirito libero, votato a costruirsi una propria cultura e un’idea della storia del tutto personale. Per “Eco di Mosca” intervistò vari presidenti sparsi un po’ per tutto il globo, da Clinton a Chirac passando per Hollande e finendo a Kaljulaid e Aliyev. Tra le personalità incontrate più di recente, la più autorevole è sicuramente la cancelliera tedesca Angela Merkel. Con la politica di casa ha sempre avuto un rapporto di amore e odio. Nel 1994 a Grozny sfoderò un’insolita veste da diplomatico tra ufficiali dell’esercito e autorità governative, riuscendo nel suo intento di far sedere ad un tavolo di trattative le due fazioni. Nel 2006, invece, un suo programma venne chiuso nel giro di due settimane perché conteneva critiche poco mascherate verso la magistratura russa. Sei anni dopo, Venediktov fu il protagonista di un atto rivoluzionario; decise infatti di dimettersi dal Consiglio di amministrazione dell’Eco di Mosca poiché non digeriva le pesanti interferenze di Gazprom-Media, socio di maggioranza dell’emittente, nell’assetto dirigenziale della radio. In seguito, il direttore ha mostrato riconoscenza verso il presidente Putin che, a suo dire, si adoperò personalmente per le sorti dell’Ekho.

Qui si apre una pagina contraddittoria nella carriera di Venediktov, il quale in un certo senso ammette una doppia faccia di sé stesso nel momento in cui anni fa affermò di avere una “personalità reazionaria ma politicamente conservatrice”. Su questo ossimoro ha sempre viaggiato la sua carriera, in bilico tra i dettami del maestro Kurzov che risvegliano la parte materna in lui e la voce paterna che lo avvicina ad una posizione di allineamento al potere centrale. Non bisogna dimenticare che la guida attuale dell’Eco di Mosca nel recente passato ha avvallato le scelte della Duma in materia di censura. Quell’ “accetta”, come la definisce lo stesso Venediktov, che oggi ha tagliato la testa alla sua emittente è la stessa arma usata per altri organi d’informazione nel corso degli anni da un regime non sostenuto sempre e comunque dal direttore, ma nemmeno ripudiato apertamente.

ECO DI MOSCA TRA PRESENTE E FUTURO

Oggi “Eco di Mosca” è una realtà ridimensionata profondamente, ma comunque resiste continuando a trasmettere su Youtube, come ha assicurato ai suoi collaboratori in lacrime Alexey Venediktov. Il messaggio originario, la verità “sempre e comunque”, appare recuperato e rafforzato dal periodo più buio per la radio sin dalla sua nascita. Eppure, di difficoltà l’emittente ne ha affrontate e superate; dal tentato colpo di stato del 1991, passando per le guerre cecene, l’assedio al teatro Dubrovka e finendo con la guerra in Georgia e la rivolta di Majdan. Certo, il compito di oggi è il più arduo di tutti, come ammettono tutte le voci della radio. “In un quarto d’ora sono stati cancellati 32 anni di storia”, una bella botta insomma. Ma questo per l’Eco di Mosca sarà “un nuovo inizio”, per usare le parole di Venediktov che si espone così da inguaribile ottimista. La battaglia dell’informazione libera si unirà, come riflettono tra i corridoi della stazione radiofonica, alla salvaguardia di quel mondo nato con la perestrojka, di cui lo stesso Putin faceva parte (paradosso). In gioco, come dice Serghej Buntman, cofondatore dell’Ekho, c’è la Russia di oggi e di domani, uno Stato che 32 anni fa, anche grazie al ruolo di una visionaria radio, scelse di affacciarsi lentamente ma con convinzione alla democrazia e che oggi cerca di non piegare la testa come può difronte alle smanie deliranti di un folle che quella libertà vuole estirpare.

Felice Marcantonio

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A noi, cacciatori di libertà https://www.lavocedelsud.org/a-noi-cacciatori-di-liberta/ https://www.lavocedelsud.org/a-noi-cacciatori-di-liberta/#respond Fri, 31 Dec 2021 11:00:00 +0000 https://www.lavocedelsud.org/?p=1332 L’ultimo giorno dell’anno non è nient’altro che la stazione d’arrivo di 365 giorni di viaggio. In 24 ore ognuno traccia un resoconto delle tappe toccate lungo il percorso, scende per qualche ora dal treno e poi risale con la propria valigia di “buoni propositi” per il nuovo itinerario. Ci sarà chi, per necessità o per […]

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Illustrazione di Ilaria Longobardi (dallamiap.arte)

L’ultimo giorno dell’anno non è nient’altro che la stazione d’arrivo di 365 giorni di viaggio. In 24 ore ognuno traccia un resoconto delle tappe toccate lungo il percorso, scende per qualche ora dal treno e poi risale con la propria valigia di “buoni propositi” per il nuovo itinerario. Ci sarà chi, per necessità o per scelta, sarà costretto a cambiare binario e chi invece ormai occupa quel posticino nel solito vagone che per comodità, o a volte per pigrizia, non vuole lasciare.

Il 2021 tra qualche ora arriverà a destinazione carico di speranze mai realizzate, delusioni materializzate, gioie manifestate e sogni concretizzati; insomma, scaricherà tutta la mole di roba che i passeggeri hanno portato con sé.

Su questo treno eravamo saliti in un certo numero, sicuramente maggiore rispetto a quanti oggi potremo dire di essere scesi. A pensarci bene è naturale che avvenga ciò; ad ogni stazione toccata c’è sempre chi scende e chi sale. Magari qualcuno ha perso un proprio caro, disperandosi perché ha deciso di non proseguire la strada e l’ha visto fermarsi in una “città” che in fin dei conti può essere paradossalmente l’ideale per vivere. Qualcun altro, invece, sicuramente avrà visto salire un volto lì per lì estraneo, facendo il tifo perché quell’ospite scendesse il più presto possibile o quantomeno non occupasse il posto vicino. E chissà, con tutta probabilità oggi si fermeranno un attimo, per poi proseguire ancora insieme, nuovi amici.

Quanti volti, quante storie si possono scorgere tra le carrozze. Non mi riesce difficile rintracciare le espressioni visibilmente fiere di una donna ed un uomo di etnie differenti, ma accomunati da un riconoscimento che trattengono tra le mani. Incuriosito mi avvicino ai due e vengo a conoscenza dei loro nomi e del loro lavoro. La donna si chiama Maria Ressa, è filippina e dirige un sito d’informazione chiamato “Rappler”. Lui invece si chiama Dmitry Muratov, è russo ed è il caporedattore del quotidiano “Novaya Gazeta”. Entrambi sono ciò che mi piace definire “cacciatori di libertà”. La signora Ressa, attraverso la sua penna e quella dei propri collaboratori denuncia il comportamento poco ortodosso del presidente filippino Duterte, principalmente rispetto alla sua strategia di “guerra alla droga”. Lo stesso premier ha definito la giornalista “una criminale”, emanando negli anni verso di lei una sfilza di mandati di cattura. Muratov, invece, col suo staff simboleggia un baluardo di democrazia in Russia. Nel 1990, si pensi che Michael Gorbaciov, ultimo leader sovietico, donò una cospicua somma per finanziare l’attività della Gazeta. A distanza di anni, il signor Muratov è stato insignito del premio Nobel per la Pace assieme proprio alla Ressa. Ambedue hanno dimostrato piena coscienza della propria “missione” e giorno dopo giorno affermano con i fatti che il giornalismo, se deve essere realmente utile, lo si può fare in un solo modo: raccontando la verità sempre e comunque, senza piegarsi a logiche clientelistiche.

L’”acqua inquinata”, espressione cara ad un illustre passeggero sceso da un po’ di tempo quale Enzo Biagi, non è mai arrivata nelle case dei lettori di Rappler e di Novaya Gazeta. Fedeli al concetto “etico” di giornalismo, i vincitori del rinomato premio possono legittimamente camminare a testa alta ogni giorno, saldi al loro posto per tutto il lungo viaggio della vita. Se poi qualcuno con la forza deciderà di farli scendere perché considerati “ospiti indesiderati” cosa succederà? Professionisti di questa caratura sanno bene che il segno lasciato è indelebile e, nel caso un giorno si alzeranno dal proprio posto, è altamente probabile che chi ha percorso una lunga tratta insieme a loro sceglierà di occupare quegli stessi posti con uguale peso specifico.

Di giornalisti assetati di libertà ce ne sono stati tanti. Sul treno 2021 pensate però che ben 39 di essi sono dovuti scendere in anticipo e altri 350 relegati chissà dove. Il motivo? Volevano semplicemente svolgere il proprio lavoro.

Hanno lasciato un vuoto importante, lo si avverte tra gli scompartimenti. Ma mi piace pensare che quanti hanno interrotto il cammino ora si sono ritrovati a camminare da tutt’altra parte insieme ai loro simili. Mi piace pensare, e ne sono convinto, che tutti coloro i quali sono accomunati dalla voglia e dal coraggio di fare saranno guidati dalla stessa forza delle idee di predecessori così nobili d’animo.

Lo confesso, è questo il mio “buon proposito” per il nuovo anno, la mia speranza, la mia certezza. E, guardando negli occhi ragazzi come me, saliti da febbraio in poi sempre più numerosi, sempre più volenterosi nella mia stessa carrozza, mi considero pronto tra poche ore a risalire sul treno, quello nuovo chiamato 2022 ma che partirà sempre dallo stesso binario dove ha fatto capolinea il precedente.

Ripartirò insieme a Carmela, Dario, Ilaria, Miki, Ida, Alessandro, Anna Chiara, Antonio, Carmen, Chiara, Claudia, Diana, Federica, Giusy, Isabella, Isabella, Loredana, Martina, Martina e Rosanna con il carico sufficiente di obiettivi e la sana incoscienza che può farci toccare lidi ancora sconosciuti. Il mio augurio per l’anno che verrà è rivolto a noi, cacciatori di libertà; a noi che abbiamo ancora tanta strada da percorrere insieme, magari incontrando qualcun altro che abbia la nostra stessa ambizione, il nostro stesso fine. A noi che finché ci sarà da raccontare, da scoprire, da criticare e da proporre saremo ogni fine anno lì, come oggi, in prossimità della “linea gialla” del solito binario della solita stazione ad aspettare il treno che sta per arrivare.

Felice Marcantonio

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