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A mio nonno e a tutti i “sognatori” come lui.

In tutti i racconti che si rispettino ( o comunque nella maggior parte ) tutti i protagonisti sanno di esserlo e cercano, chi disperatamente e chi meno, di raggiungere il proprio lieto fine tra mille peripezie e prove da superare.

Pochi lettori però sanno che esistono anche loro, i protagonisti inconsapevoli delle proprie storie, come lui: mio nonno.

In questo racconto non troverete infatti demoni da sconfiggere, ne fanciulle da salvare, ma solo un “mostro invisibile” da tenere a bada: l’alzheimer.

Mio nonno era un uomo straordinario e non ve lo dico io come molti possono pensare, perché sono sua nipote. Lo era è basta.

Cresciuto nella Sicilia del secondo dopo guerra, dove le figlie grandi crescevano i fratellini piccoli e i fratelli maggiori portavano avanti la famiglia ( valore per noi siciliani importantissimo ), aveva sempre mostrato volontà di rivalsa.

Volontà che avvolte però perdeva tra le tante “avventure femminili”.

Fino a quanto incontrò lei, mia nonna, la classica donna siciliana, impastata di amore e tenerezza, come i nostri profumati “cucciddati” appena sfornati in una delle tante calde fornaci della nostra bellissima isola.

Ed è proprio vero il proverbio che afferma che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”; mio nonno riuscì in pochi anni a formare “l’impero dei panifici”, come lui stesso amava chiamarlo.

Il pane per lui era tutto: era il motivo per cui alzarsi la mattina presto ed affrontare il caldo cocente delle roventi estati siciliane, era il sorriso della vecchietta che ogni giorno si presentava al banco nonostante i tanti dolori, era il bimbo dispettoso a cui regalare il paninetto a latte, era la mia stessa nonna con le mani sempre sporche di farina, ma con in viso il suo bellissimo sorriso da massaia.

E fu proprio quando il pane ( e la mia stessa nonna ) vennero a mancare, che cominciò ad avanzare, sempre più inesorabile e triste, la discesa verso il buio dei non ricordi.

I giorni si fecero lunghissimi e confusi, le notti brevi e scandite da sogni dal sapore agrodolce di un passato che non sarebbe più tornato.

La paura di “non essere più utile” era sempre lì: cattiva, non faceva che far capolino dietro i pochi momenti di lucidità.

Ma anche in quel frangente, come aveva già fatto in gioventù, mia nonna intervenne per “salvare” il suo Sarino: dopo nemmeno un anno lui era già lì con lei, lasciando nei figli e nei nipoti un dolore immenso, ma anche la consapevolezza di una sua nuova felicità.

Non voleva sentirsi “inutile” mio nonno, così come non lo vogliono nemmeno i tanti, anziani o meno, afflitti da quel “pacato torpore”, all’esterno magari così innocente, ma all’interno così micidiale.

Magari non avete letto un racconto allegro, come avevate prefissato all’inizio, ma siete stati anche voi inconsapevolmente i testimoni di una delle tante “storie di un protagonista che non ricorda più di esserlo” , credetemi le più importanti!

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