“Fare teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male.” (Eduardo De Filippo)
Oggi, 31 Ottobre – in occasione del trentasettesimo anniversario della morte di Eduardo De Filippo – ripercorriamo brevemente le tappe più significative della sua vita ricordando, così, il celebre maestro del teatro del Novecento.
Nasce il 24 maggio del 1900 a Napoli dalla relazione extra-coniugale tra Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo, da cui insieme ai fratelli Peppino e Titina prende il cognome. Figlio d’arte, dunque, viene riconosciuto dal padre insieme ai fratelli solo più tardi.
Eduardo vive sin da piccolo il mondo del teatro e lui stesso racconta successivamente di essere stato prima di tutto “servo di scena”; una posizione a lui, nonostante tutto, assai cara poiché gli consentì di osservare più da vicino il lavoro degli attori, produttori e tutto quello che era l’arte del teatro.
Insieme con i fratelli approdò sin da giovane nella compagnia del fratellastro, ovvero Vincenzo Scarpetta, dalla quale ereditò una particolare dedizione e severità che caratterizzarono, poi, tutto il suo teatro.
Con Titina e Peppino, poi nel 1931 fondarono ufficialmente la compagnia umoristica “I De Filippo”, portando in scena al teatro Kursaal di Napoli il 25 Dicembre di quello stesso anno una delle commedie che ancora oggi si impongono sulla scena teatrale: Natale in casa Cupiello.
Commedia per eccellenza della tradizione natalizia napoletana.
Eduardo cominciò però a sentire, col tempo, l’impellente necessità di elevarsi e di elevare, così, il teatro napoletano – uscendo allo stesso tempo da quello che è ed era stato fino a quel momento il suo provincialismo.
Approdare in tutti i teatri d’Italia era diventata perciò la sua missione; e proprio grazie a questo salto riuscì a far conoscere il suo teatro a Pirandello e a instaurare con lui un rapporto lavorativo.
Finirono per lavorare insieme, infatti, e per scrivere (tra tante) la commedia L’abito nuovo (1935), che De Filippo mise in scena dopo la morte di Pirandello stesso, proprio in suo onore.
Il 1944 segnò però ufficialmente la fine della collaborazione lavorativa con suo fratello Peppino, in seguito ai rapporti che col tempo si erano sempre più incrinati, a causa del loro modo differente di concepire il teatro; e così Eduardo fondò una nuova compagnia che chiamò semplicemente: “Il Teatro di Eduardo“.
Visse le guerre e quello che ne seguì. La fine della seconda guerra mondiale e la Napoli dilaniata dalla borsa nera divennero perciò materiale fondamentale per i suoi lavori. “Adda passà ‘a nuttata” è la celebre battuta con cui De Filippo chiude la rappresentazione di Napoli milionaria (1945), che tutt’oggi nel gergo napoletano utilizziamo in situazioni drammatiche. Senza dubbio espressione ricca di ottimismo e di speranza per il futuro.
Un uomo, De Filippo, che con il suo parlare, il suo gesticolare – a suo dire fondamentale per ribadire la sua appartenenza napoletana – e la risata… conduce alla riflessione. Mai banali i suoi contenuti e mai privi di significato. Una risata, dunque, che si fonda sulla riflessione. E così che egli stesso concepisce il teatro: una cosa seria nel suo “essere” ironia. Era energia, ribellione, ossigeno e continua ricerca del senso dell’essere.
Probabilmente è per questo che chi lo aveva vissuto lavorativamente lo aveva descritto come un “dittatore” di scena. La stessa protagonista di Filumena Marturano (1946) lo confermava e affermava in un’intervista del 1962, pur – però – dichiarando che senza quel suo carattere autoritario il suo Teatro non sarebbe stato comunque lo stesso.
L’elemento dell’impeccabilità che non si discuteva tale, addirittura, una volta da interrompere un attore durante il debutto e richiamandolo dinanzi al pubblico stesso di ripetere la scena e l’interpretazione a dovere:
“Signori spettatori, l’attore qui – non ricordo mai i nomi – l’attore ha sbagliato la battuta; adesso la ridice.”
Quel suo pretendere sempre di più dagli attori e la fama da “dittatore” era null’altro che il risultato del suo concepire il teatro nel modo più assoluto.
“Per fare buon teatro bisogna rendere la vita difficile all’attore” aveva egli stesso affermato, giustificando così quanto in effetti gli altri dicessero di lui.
Una fama radicata oramai nel personaggio stesso. Un amore e una dedizione totale che lo rendono ancor’ oggi immortale e maestro indiscusso.
Una vita, la sua, per nulla facile. Travagliata, sofferente… tale che probabilmente aveva trovato serenità solo nel teatro. Elementi che ci conducono a comprendere più profondamente la sua intera, numerosa e instancabile attività.
Eduardo aveva, infatti, da sempre visto nella finzione teatrale una maggiore verità di quanto riuscisse a vederne nella vita dove spesso, abituati a tante maschere, si vive più nell’“avere” che nell’”essere”.
Tra il 1981-1982 insegnò presso l’università La Sapienza di Roma, come docente di Drammaturgia.
Si spense, infine, il 31 Ottobre del 1984 (a 84 anni) a causa di un blocco renale.
In conclusione, di seguito si propone una celebre poesia del 1944 tratta da “Le poesie di Eduardo” e l’Illustrazione di Ilaria Longobardi (in arte dallamiap.arte) per omaggiare il suo ricordo e la sua arte immortale.
Illustrazione di Ilaria Longobardi in arte dallamiap.arte
(@dallamiap.arte)
Si t’o sapesse dicere
Ah… si putesse dicere
chello c’ ‘o core dice;
quanto sarria felice
si t’ ‘o sapesse dì!
E si putisse sèntere
chello c’ ‘o core sente,
dicisse: “Eternamente
voglio restà cu te!”
Ma ‘o core sape scrivere?
‘O core è analfabeta,
è comm’a nu pùeta
ca nun sape cantà.
Se mbroglia… sposta ‘e vvirgule…
nu punto ammirativo…
mette nu congiuntivo
addò nun nce ‘adda stà…
E tu c’ ‘o staje a ssèntere
te mbruoglie appriess’ a isso,
comme succede spisso…E addio Felicità.
-Si t’o sapesse dicere, 1944, da “Le poesie di Eduardo”
One response
Bellissima storia. I grandi del nostro passato del passato di Napoli la vera Napoli quella buona.