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Save the Children torna a denunciare la piaga del lavoro minorile in Italia: 336.000 minorenni tra i 7 e i 15 anni dichiarano di aver già svolto dei lavori.
Un fenomeno difficile da fermare che trascina i più giovani in altre problematiche di natura fisica e psicologica.

A distanza di 10 anni dall’ultima indagine, Save the Children, tramite il progetto “Non è un gioco”, torna a raccogliere dati riguardo la situazione del lavoro infantile in Italia. Si tratta di un problema nato addirittura durante la Seconda Rivoluzione Industriale in Inghilterra e in parte regolamentato solo nel 1833, quando venne vietato il lavoro al di sotto dei 9 anni e fissato un massimo di 9 ore al giorno fino ai 13 anni. Senz’altro una situazione ancora precaria vista dagli occhi di una persona del nostro tempo.

Al giorno d’oggi a livello internazionale l’articolo 32 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC) sancisce “il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.
In Italia la Costituzione, la Legge 977 del 1967 e i successivi sviluppi legislativi in materia, tutelano i minorenni disciplinando l’età di accesso al mondo del lavoro e fissandone l’inizio a 16 anni, fine del periodo della scuola dell’obbligo.
Proprio la scuola è uno dei punti cardine delle conseguenze del lavoro minorile: è chiaro il collegamento tra lavoro e abbandono scolastico nella quale l’Italia è tra le prime in Europa, con conseguenti problematiche di inserimento nel mondo del lavoro legale, nella società e nello sviluppo della socialità e della morale.

Ma che lavori svolgono i giovani?

Gli ambiti lavorativi nei quali troviamo numeri più alti sono la ristorazione, le attività commerciali, ma anche mestieri recenti legati al mondo di internet e ovviamente nella criminalità organizzata, che sfrutta situazioni di povertà e arretratezza culturale per assoldare collaboratori.
La metà degli intervistati dichiarano di aver trovato lavoro grazie ai genitori, molto spesso coinvolti in situazioni analoghe in gioventù. Sintomo che spesso le famiglie non si accorgono della gravità del problema e traccino una strada sbagliata per i propri figli “tramandando” questo cortocircuito socio-culturale.
La pandemia ha agevolato ulteriormente questa problematica, raggiungendo un numero di 8,4 milioni di minori in più in 4 anni.

La questione del lavoro minorile è un tema ancora tristemente attuale, di difficile gestione e impossibile da mappare come qualsiasi attività svolta in nero.

“Non è un gioco” di Save the Children, anche tramite mezzi ormai popolari come un podcast su Spotify, ha l’obiettivo di definire i contorni del fenomeno, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, e vuole sopperire almeno parzialmente alla mancanza di una rilevazione sistemica di dati sul tema in Italia.

Antonio Montecalvo

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