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illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Luoghi comuni su noi italiani ne esistono diversi; da chi ci identifica con la cucina, più specificatamente chiamandoci “mangia spaghetti”, a chi unisce alla nostra propensione culinaria una peculiarità musicale (quante volte abbiamo sentito “pizza e mandolino” uniti al Bel Paese), passando poi da qualcuno che ci fa notare vizi nella gestualità (notoriamente molto accentuata). Ci riconoscono anche un romanticismo ed una passionalità fuori dal comune (sarà forse che la nostra terra offre migliaia di motivi per essere sognatori veraci).

C’è un’altra cosa, però, che fa dell’italiano un unicum nel mondo. Una passione potremmo dire “cronica” in grado di far fermare il tempo almeno per un’ora e mezza. Stiamo parlando dello sport per eccellenza: il calcio. Pur essendo nato in Inghilterra (come non mancano di far notare dalle parti di Londra e dintorni), ben presto questa disciplina ha varcato i confini d’Oltremanica sbarcando nel nostro Paese dove in alcuni casi (vedi Napoli o Roma) è diventato un qualcosa di molto simile ad una religione. In effetti, sfido chiunque a non essersi lasciato trasportare dal pathos di una partita di calcio almeno una volta nella vita. Questo sport ci accompagna ogni giorno; nella nostra quotidianità c’è sempre spazio per leggere una notizia calcistica. Anche chi non è tifoso e non soffre pertanto di una “malattia incurabile” come ne siamo invece affetti in parecchi, si imbatte navigando in Internet in un trafiletto di calcio, magari fortuitamente, ma succede spesso.

Capita poi che le tradizionali partite di campionato o di coppa, in cui ad essere coinvolti sono i club, lascino spazio alle gare della Nazionale. In queste occasioni si dimenticano (o almeno così dovrebbe essere) le simpatie più disparate per far spazio ad un sentimento comune che ci spinge a parteggiare per una comune squadra del cuore, la più importante: l’Italia. Quando giocano gli azzurri, le nostre città si paralizzano, sospese in una dimensione soprannaturale, proiettate in un mondo alternativo dove non si ha la minima idea di cosa sia il traffico o la semplice fila al supermercato. Le faccende quotidiane vanno sbrigate prima del calcio d’inizio, prima di radunare nei bar o nelle case la schiera di tifosi pronti a soffrire, a gioire e a volte a “giocare” assieme all’undici in campo. Quando gioca l’Italia anche i non calciofili vengono assaliti da quella passione viscerale che ci fa entrare subito tutti in modalità “ultras”. Certo, ci sarà sempre chi si distinguerà dalla massa, snobbando l’evento almeno di facciata, per poi magari ritrovarselo in un angolo nascosto di una piazza piena di bandiere ad urlare a squarciagola.

Recentemente, questo “culto” verso il calcio, verso l’Italia in particolare, ha toccato punte che si trovano agli antipodi. In otto mesi siamo letteralmente passati “dalle stelle alle stalle”. La scorsa estate ci ha lasciato per sempre vivo il ricordo delle “notti magiche”, di una Nazionale che facendo invidia al mondo diventava Campione d’Europa proprio a casa degli inglesi, quasi che il “dio del calcio” si fosse espresso su chi può vantarsi di essere il “proprietario” di questo sport. Quante sbronze si sono registrate tra giugno e luglio 2021 (non solo in senso metaforico!). Probabilmente, i postumi sono stati duri da smaltire visto che dall’autunno in poi l’estasi più totale ha lasciato spazio prima a rinnovate preoccupazioni che credevamo non ci riguardassero (per la serie: “andremo ai Mondiali?”) per poi giungere ad una primavera 2022 che per noi italiani, amanti del pallone, è così solo sulla carta. Lo scorso 24 marzo, infatti, a Palermo si sono materializzati i peggiori incubi, quelli vissuti già quattro anni fa e che dopo il collaudo di invincibilità abbondantemente superato grazie al nuovo c.t. Roberto Mancini, credevamo di aver rimosso per sempre. La realtà dei fatti è stata difficile da accettare, in molti ancora fanno fatica a rendersi conto che l’Italia non parteciperà ai Mondiali in Qatar in programma tra novembre e dicembre prossimi.

Per chi ha visto la partita, lo shock è stato tangibile. A chi invece il risultato finale dello spareggio contro la Macedonia del Nord è arrivato per vie “traverse” sembrava tanto uno di quegli scherzi piuttosto banali. Il risveglio è stato piuttosto brusco, per i secondi soprattutto. Le certezze sono crollate, la rabbia è cresciuta a dismisura e c’è da giurare che in molti il giorno dopo a lavoro o non si sono presentati proprio o sono risultati intrattabili. Perché il calcio per noi italiani è questo: una grande festa degna del miglior matrimonio quando si vince e la peggiore cerimonia da funerale quando si perde. Siamo così, follemente e diciamo pure orgogliosamente fanatici di uno sport che per noi non sarà mai solo uno sport.

L’ esclusione dell’Italia dai Mondiali ci ha fatto dimenticare per qualche giorno problemi più seri, personali e no, che ora pian piano tornano d’attualità. Quando la mente torna fredda e lucida, quando gli effetti del calcio si attenuano fino a sparire (almeno per un po’) in fondo all’italiano “tipo” non resta che dire GRAZIE a questo sport, che sarà pure un qualcosa di “frivolo” stando a sentire gli “intellettuali”, ma ha in ogni caso un effetto benefico in chi lo segue; indipendentemente dalle vittorie o dalle sconfitte (che poi è il paradigma della vita in senso lato), il calcio è per noi italiani una specie di “Arcadia” degli antichi, un mondo ideale in cui vale la pena entrare per fuggire, almeno per 90 minuti, dalla “solita” vita.

Felice Marcantonio

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