La storia è forse destinata a ripetersi?
In arrivo dall’Europa non ci sono solo tanti soldi, ma anche nuove opportunità. Capita spesso però che le occasioni vengano colte dalle persone sbagliate. Le preoccupazioni delle Istituzioni per il prossimo futuro sono riversate in particolare sui fondi del Recovery Fund (31 miliardi di euro) post pandemia.
Larga parte di questi aiuti economici potrebbe finire nelle mani della criminalità organizzata anziché essere utilizzata, ad esempio, per la “transizione verde”, un piano di sviluppo e ammodernamento della rete ferroviaria su tutto il territorio nazionale.
Da anni ormai le Mafie hanno rivolto i loro interessi agli appalti pubblici, ove poter reperire in modo apparentemente legale ingenti quantità di denaro. La figura del mafioso è anch’essa cambiata; non siamo più di fronte ad un uomo “di strada”, ma ad un professionista, esperto del settore e ben organizzato, il classico imprenditore in giacca e cravatta.
Di appalti delle opere pubbliche in Italia ce ne sono in abbondanza e sempre più frequente è l’intromissione di gruppi criminali in questo mondo.
Oramai la loro presenza all’interno del sistema degli appalti è un vero e proprio cancro, capace di diffondersi da Nord a Sud, nessuna regione esclusa.
Il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico CAFIERO DE RAHO ha rilevato che: “… La modernizzazione delle mafie si completa nel reinvestire capitali in soggetti economici deboli […] occultano comportamenti illeciti con lo schermo di soggetti solo apparentemente sani, entrano così nel mercato dell’economia legale. Questo è veramente preoccupante”.
Come si inseriscono le organizzazioni criminali nel mondo degli appalti pubblici?
Da quanto emerge dalla Relazione Semestrale dell’anno 2020 della DIA – Direzione Investigativa Antimafia, ci sono varie modalità con cui i vari gruppi criminali in tutta la penisola entrano in contatto con il sistema degli appalti pubblici. Tra le pratiche più ricorrenti vi sono, ad esempio, le interazioni con aziende di più grandi dimensioni tramite contratti di subappalto e subaffidamento, specie nei settori dell’edilizia con il gioco al ribasso delle offerte, le quali vengono pilotate da più imprese collegate sempre al mondo criminale, in modo da determinare un prezzo fuori mercato e che possa essere particolarmente conveniente per chi si aggiudica l’appalto.
Altra modalità è l’interposizione di particolari società, dette “Cartiere”, così definite perché emettono fatture (“producono carta”) per operazioni inesistenti: l’obiettivo è quello di portare a termine le cosiddette “Frodi Carosello”, con le quali si evita il pagamento dell’IVA allo Stato, andando ad alterare di conseguenza il mercato.
Negli ultimi anni al centro dell’attenzione degli appalti troviamo le opere di realizzazione dell’Alta Velocità.
Varie indagini hanno portato alla luce come importanti gruppi criminali camorristici avessero interessi nel settore ferroviario, con i lavori dell’Alta Velocità ottima opportunità per reinvestire e riciclare i proventi di altre attività delittuose, dallo spaccio di sostanze stupefacenti all’usura. Come descritto in precedenza, i Clan, indirettamente, tramite figure minori o incensurate si inserivano nel contesto di aggiudicazione degli appalti secondo le classiche modalità, andando ad aggirare tutto il sistema di controllo antimafia. Le attività di indagine delle Forze dell’Ordine tramite poi intercettazioni telefoniche e altri filoni d’inchiesta hanno smascherato queste complicità tra Camorra, Istituzioni e politica. Nel 2017 le inchieste coordinate dalle Procure della Campania e non solo hanno evidenziato come il Clan Moccia, operante nella periferia di Napoli, in special modo tra Afragola e Frattamaggiore, fosse coinvolto in vari contratti di subappalto nei lavori della linea Alta Velocità di Afragola. Nel 2018, invece, protagonista è stato il Clan Zagaria che attraverso prestanomi era riuscito ad ottenere da RFI – Rete Ferroviaria Italiana – subappalti per lavori strategici con imprese operanti in Toscana, ma di fatto gestite direttamente dalla provincia di Caserta.
Appalti e clan
L’attenzione attuale, dunque, è sui circa 30 miliardi che tanto fanno gola ai clan. Come messo in luce dal programma Rai “Report”, ma già precedentemente – e abbondantemente – trattato in “Corruzione ad Alta Velocità” a cura di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, e poi anche dal giornale “Voce delle Voci“, la questione è parecchio spinosa.
Il servizio Rai, infatti, attraverso analisi e supposizioni evidenzia come, in effetti, il coinvolgimento di un imprenditore di nome Nicola Schiavone sia evidente rispetto alla società appaltatrice più importante d’Italia, ovvero Ferrovie dello Stato.
Tutto ha inizio quando la procura di Napoli, due anni fa circa, ipotizzando legami con tutti i dirigenti di RFI, esegue perquisizioni in case ed uffici di alcuni “signori” in particolare che si rivelano poi, infatti, consulenti occulti dell’imprenditore Schiavone. Corrotti per favorirgli l’assegnazione degli appalti.
Ma chi è Nicola Schiavone? I suoi legami con la camorra sono accertati?
Il suo difensore, Giovanni Esposito Fariello, ai microfoni del programma Rai afferma che contro queste ipotesi vi sono sentenze, accertamenti giudiziari e provvedimenti penali nei quali è stata “dimostrata” e esclusa l’appartenenza delinquenziale di N. Schiavone.
Lui stesso nega tutto, eppure un altro Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone detto “Sandokan”, (attualmente il boss più importante del clan dei Casalesi) il quale oramai da anni collabora con la giustizia, afferma che il personaggio sopra citato sia il suo padrino e che sia lui che il fratello, cioè Vincenzo Schiavone, hanno eccome legami con la sua famiglia.
Inoltre, da un’intercettazione successiva al processo Spartacus, (svoltosi in Italia dal 1998 al 2010, anno in cui è stata emessa la sentenza della Cassazione e condotto principalmente a carico di membri del clan camorristico del clan dei Casalesi, tra cui il boss Sandokan) emerge che, durante il colloquio al 41 Bis di Parma tra Sandokan e sua figlia Angela, proprio lui fa il nome di Nicola e raccomanda alla figlia di fare riferimento all’imprenditore per qualsiasi necessità economica.
Ancora, dalle affermazioni del figlio di Sandokan risulta che i rapporti fra Nicola Schiavone e il clan sono continui; a dimostrazione di ciò vi è il fatto che lo stesso imprenditore avrebbe mostrato interesse per le vicende giudiziarie della sua famiglia.
Secondo gli inquirenti “Nicola Schiavone risulta essere il dominus di una serie di imprese a lui non direttamente riconducibili”, come il Consorzio Imprefer, intestate a terzi ma da lui controllate e gestite.
La risposta a tutto ciò degli avvocati è sempre la stessa: negare, poiché di fatto non vi sono accertamenti in merito e lui è stato completamente assolto.
Visti i trascorsi storici tra criminalità organizzata e il settore ferroviario, possiamo concludere che le preoccupazioni delle Istituzioni siano ben fondate? Sarà compito dello Stato, attraverso tutte le sue articolazioni, vigilare sul corretto utilizzo dei fondi provenienti dall’Europa per poter finalmente risolvere quei gravi problemi strutturali che specie al Sud impediscono la fruizione di un servizio essenziale quale quello del trasporto su rotaie.
Adesso è l’ora che si arricchisca il Paese, perché opportunità del genere sanno tanto di “treni che passano una volta sola”.
Carmela Fusco
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