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illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Quando Babbo Natale non era ancora giunto in sulla nostra isola

“… nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciriddro, si popolava di morti a lui familiari.

Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.”

Andrea Camilleri

Da noi Babbo Natale è arrivato dopo, molto dopo, importato da oltre mare, con il suo sorrisone, la barba bianca e il caratteristico costume rosso, dalle varie aziende pubblicitarie e dolciarie americane e anglosassoni. Prima infatti, molto prima, quando ancora in questo periodo dell’anno l’odore delle mostarde e delle cotognate che “peppiavano” a fuoco lento nei pentoloni, riempivano le cucine dei nonni, c’erano loro “i fantasmi senza linzòlo” , che la notte tra giorno uno e due novembre ( la notte più lunga dell’anno ) venivano a far visita ai parenti ancora in vita, ma soprattutto a noi picciriddi, che li aspettavamo con trepidazione, seppur conoscendo solo alcuni di loro ( di molti infatti conoscevamo solo i volti sbiaditi visti nelle varie fotografie che gli anziani di casa esponevano con tanto orgoglio sul comò ).

E che emozione ( lo ribadiva anche Camilleri nei suoi Racconti quotidiani ) quando il mattino dopo, nella tavola che avevamo accuratamente imbastito per loro ( in alcune famiglie si usava invece mettere un cesto sotto il letto ), trovavamo i vari regalini e dolcetti che i cari “morticini” avevamo lasciato per noi!

Giocattoli di ogni sorta o scarpe nuove ( se si voleva seguire per bene la tradizione ) ripiene dei dolcetti tipici di questa festa: crozzi ‘i mottu ( ossa di morto )particolarmente croccanti a forma di tibie umane, le Rame di Napoli con il loro cuore morbido di pan di spagna al cioccolato ricoperto di glassa al cacao e una spolverata di pistacchio e gli ‘Nzuddi con la mandorla inventati della suore vincenzine di Catania ( da qui il loro nome ), che poi condividevamo con il resto della famiglia.

Frutta Martorana ( dolcetti di marzapane ai quali viene data solitamente la forma di frutta) e cioccolatini, a Palermo invece, servivano per comporre ‘U Cannistù, un cesto ricolmo di primizie di stagione che, conteneva anche i Pupi ri zuccaro, statuette di zucchero dipinte a mano, solitamente raffiguranti figure della tradizione come i famosissimi Paladini (si racconta che ad inventarli fu un nobile arabo caduto in miseria, che li servì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo elaborato ).

Certe volte però i defunti non erano così gentili da lasciare tutti i pensierini nel posto destinato loro, ma si divertivano a nasconderli per casa. Ecco che quindi la mattina del due novembre aveva inizio una chiassosa caccia al tesoro, che coinvolgeva grandi e piccini.

La giornata proseguiva poi con l’immancabile visita al cimitero, per ringraziare così i parenti per tutti i ninnoli e le prelibatezze ricevute, con fiori ( solitamente crisantemi, ma anche i loro fiori preferiti ), ceri e preghiere.

Ed anche questo momento veniva vissuto come un qualcosa di gioioso, tanto dagli adulti quanto dai bambini: una visita spensierata e ricca di amore e riconoscenza verso quelle persone che avevano avuto un caro pensiero nei loro riguardi. Niente malinconia o paura dell’oltretomba.

In alcune zone della Sicilia inoltre in questi giorni per celebrare la ricorrenza, si tenevano (e si tengono tutt’ora ) delle caratteristiche fiere ( “A fera de motti” ), dove oltre a trovare bancarelle ricolme di giochi e cianfrusaglie varie, è possibile assaggiare anche i dolci tipici della tradizione che abbiamo già elencato, solitamente della durata di una settimana.

Per concludere degno di plauso è anche l’impegno che negli ultimi anni ha portato alla creazione de la “Notte di Zucchero, festa di morti, pupi e grattugie” ( iniziativa partita prima da Palermo e giunta successivamente anche a Catania ), che nei giorni a cavallo di Ognissanti organizza una serie di eventi (dagli spettacoli con i pupi ai laboratori di biscotti ), con il solo scopo di portare avanti con amore le tradizioni dei nostri nonni.

Tradizioni importanti non solo per i più piccini, che anche grazie a questi eventi imparano a sentirle più loro, ma anche ( e soprattutto ) per noi adulti, che tramite la memoria del passato riusciamo a tenere ancora in vita il ricordo dei tanti cari che purtroppo non sono più con noi.

Federica Leonardi

One response

  1. Questa è una festa che ha il profumo, il sapore di una terra, di una parte di Sicilia che arriva al sottoscritto come qualcosa di magico, ma ” VERO “. È bello leggere, prendere atto che, le tradizioni non muoiono “si tenevano e si tengono tutt’ora”. Come già anticipato nel commento della festa di Halloween, non abbiamo bisogno di festività d’importazione, abbiamo bisogno tutti, grandi e piccini, delle nostre tradizioni. Forse in questo caso, a divertirsi non sarebbero solo i bambini, sicuramente anche i grandi che, oltre al divertimento avrebbero modo di abbracciare i propri ricordi.

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