QUANDO LA CENSURA C’È E SI VEDE
Pare strano come in tempi odierni si possa parlare ancora di censura. Il diritto ad esprimere la propria opinione attraverso la parola, scritta o con qualsiasi altro mezzo, è uno dei fondamentali principi della costituzione. Eppure, come spesso accade i fatti non coincidono con le parole.
LA CENSURA IN RUSSIA
Sin dall’inizio dell’invasione in terra ucraina dei cosiddetti “omini verdi”, in quasi tutto il mondo si sono tenute proteste a favore della pace e soprattutto che avessero l’intento principale di manifestare il dissenso rispetto alla violenza, discriminazione e dunque alla guerra stessa.
Quello che però ha sorpreso è che le manifestazioni si siano tenute anche, e soprattutto, a San Pietroburgo, ad esempio. La Russia ha espresso visibilmente la propria posizione nei confronti dell’invasione e di Putin. Una posizione, per alcuni, del tutto inaspettata.
I parallelismi con la Seconda Guerra Mondiale sono e sono stati dal primo momento numerosi e se, effettivamente, il presidente russo è stato immediatamente paragonato a Hitler non si può certo dire che il clima della popolazione sia uguale a quello della Germania nazista.
A ragion del vero, sono state circa 7632 le persone arrestate in Russia fin dall’inizio della Guerra (fonte Ansa).
È di qualche giorno fa, invece, la notizia che vede protagonisti cinque bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni che hanno passato la notte dietro le sbarre per aver manifestato a Mosca.
E poi, per non farci mancare nulla, anche dell’anziana signora arrestata perché, oltre ad essere presente alla manifestazione, aveva un cartellone in cui si era espressa in favore della pace (avendo Lei vissuto sulla propria pelle il secondo conflitto mondiale e conoscendo bene anche cosa significhi, invece, vivere la guerra).
“Siamo ai limiti della follia” si dirà, ma è anche vero che i fatti ci mostrano proprio che alla follia pare non esserci limite.
“In Russia non c’è libertà di espressione” si è detto spesso in questi giorni. Eppure, anche la carta costituzionale russa prevede la libertà di parola e di stampa, ma è evidente che il potere politico abbia costretto sempre più a esercitare l’auto censura.
Quello che ne consegue è dunque un quadro chiaro e complesso allo stesso tempo: la libertà c’è ma gli uomini non sono liberi.
Un paradosso bello e buono. Una libertà che i russi cercano a fatica di acquisire e che talvolta pagano a caro prezzo.
Il governo, in questo specifico caso, ha addirittura vietato di parlare di “guerra” ma piuttosto di un intervento speciale e necessario per la propria nazione.
Quello che Putin cerca di fare è in un certo senso di plasmare i propri cittadini e, comprensibilmente, il modo per farlo nel miglior modo possibile è evitando che questi abbiano effettive notizie rispetto allo sterminio di uomini, ucraini e russi, che questa guerra sta causando.
Quindi, ancora una volta, attraverso la censura.
Dopotutto, significativo è stato anche l’attacco alla tv ucraina come a dimostrazione di un controllo che nel regime putiniano pare essere centrale.
Anonymous, un gruppo di hacker, ha iniziato una vera e propria battaglia contro il governo e soprattutto contro Putin, suo bersaglio principale.
“Ora trasmettiamo la realtà di ciò che sta accadendo in Ucraina” ha affermato nella giornata di domenica 27 febbraio in seguito ad un ulteriore attacco, questa volta alla tv russa, attraverso cui ha trasmesso immagini e video che mostrassero ciò che stava (e purtroppo sta ancora) accadendo in Ucraina.
Questo perché quello che si evince anche è che i russi a causa di tale “controllo” dai vertici abbiano difficoltà a reperire notizie, rischiando anche di vivere questa triste realtà come se in una bolla.
Non occorre fare di tutta l’erba un fascio – quindi – nell’uno e nell’altro caso, ma bisogna a quanto pare ribadire che “i russi non sono Putin” e lo dimostrano i numerosi cittadini che pur rischiando la propria vita si espongono a favore e sostegno dell’Ucraina.
Eppure, razionalizzare non pare essere il nostro forte.
LA CENSURA NELL’OCCIDENTE C’È E SI VEDE
A guardare quanto accade oggi, e non solo, quello che viene da pensare è che siamo indubbiamente “fortunati” ad essere nati da quest’altra parte del mondo. Dopotutto, come stabilito dall’articolo 21 della nostra Costituzione la libertà di espressione è un principio imprescindibile.
Tra le sanzioni contro la Russia è ovvia – e per altri comprensibile – l’intenzione dell’UE di isolarla totalmente, come si è anche espressamente detto. Certo, sempre tenendo conto della dipendenza di gas soprattutto di noi italiani, Francia e Germania.
“In Italia la dipendenza dal gas russo è salita dal 27 per cento di dieci anni fa al 45 per cento di oggi” chiarisce Stefano Feltri nel suo editoriale. È questo un aspetto che aprirebbe numerose altre questioni, ma volendo in questo momento soffermarci soltanto sul problema della “censura” l’argomento non è del tutto trascurabile perché la domanda che molti occidentali si pongono, e che lo stesso Zelensky più volte rivolgendosi all’UE ha esplicitato, è “cosa sta facendo effettivamente il mondo occidentale per aiutare l’Ucraina?” la risposta è “niente” o almeno “non abbastanza”.
Ci si preoccupa però piuttosto di tenere a bada l’opinione pubblica e lo testimonia bene la vicenda dell’Università di Milano “Bicocca” rispetto alla censura di un “percorso” universitario su Dostoevskij.
Dostoevskij è russo e tanto basta. Eppure, nel 1849 fu condannato a morte per aver letto una cosa proibita, dunque, per non aver rispettato una legge. Una censura.
Il professor Paolo Nori, protagonista trasversale di questa vicenda, in diretta Instagram aveva espresso il suo rammarico e denunciato così tale episodio: “Non solo essere un russo vivente oggi è una colpa, ma anche da morto.”
Ma è la lettura stessa della e-mail ricevuta che ancor più fa riflettere:
“Caro professore questa mattina il prorettore e la didattica hanno comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij, lo scopo è quello di evitare ogni forma di polemica soprattutto interna in questo momento di forte tensione”
Evitare ogni forma di polemica.
Un’affermazione che per un certo verso alimenta ancor più una realtà già critica: la discriminazione. Perché sebbene le sanzioni prevedano l’esclusione della Russia dalle più disparate manifestazioni pubbliche è anche vero che colpevolizzarli per il solo fatto di essere “le altre vittime” di Putin non servirà certo ad eliminare il male comune.
Più importante, invece, sono i fatti e che quello che emerge è che, seppur manifestando il nostro “supporto”, a pagarne le conseguenze sono la povera Ucraina e anche – quasi per assurdo – i cittadini russi, che protestano rischiando la propria vita.
Sono forse queste vittime “sacrificabili”? – facendo ancora una volta riferimento a Feltri – e nel nostro caso basta davvero censurare Dostoevskij o qualsiasi altro russo per evitare polemiche o dibattiti?
Come se fosse una brutta cosa, poi.
Ma dibattere non è anche dialogare? E dialogare non è, molto probabilmente, il modo più civile per giungere a una pace?
Carmela Fusco
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