“Do you need anybody?
I need somebody to love
Could it be anybody?
I want somebody to love”
L’avete letta cantando, vero?
Basta poco perché With A Little Help From My Friends, popolare brano dei Beatles, balzi in mente a un qualunque ascoltatore, ascoltatore che magari non ha mai vissuto gli anni ’60 e di cui tuttavia serba memoria, memoria di un bel periodo della vita, lo vive come fosse stato lì in prima persona. Periodo in cui l’ottimismo regnava sovrano, era “vietato vietare”, periodo in cui l’umanità usciva dal suo inverno e per entrare in una colorata primavera, piena di idee e di proposte, e soprattutto, di qualunque cosa che fosse a portata di mano.
Ma la vera domanda è: perché?
E’ bene dirlo subito, gli anni ’60 sono un passaggio obbligato, ci sono un prima e un dopo, non saremmo quelli di oggi senza quel decennio, un decennio fatto di tensioni, movimenti e proposte per guidare verso un radioso futuro l’umanità, decennio scandito da eventi importanti come il successo planetario dei Beatles e della musica pop, i discorsi di Martin Luther King, la breve presidenza di John F.Kennedy, la guerra in Vietnam e lo sbarco sulla Luna. Da quel momento i valori e le priorità sono diventate altre, le generazioni giovani e alcune minoranze etniche sparse nel mondo hanno preso coscienza di sé e hanno reclamato a gran voce libertà, indipendenza e cambiamenti, in nome di quel diritto naturale che fa liberi ed uguali tutti gli uomini, un diritto che ha come cardine la libera scelta, diritto che i governi di allora faticavano a riconoscere; tanto forte fu la scossa che venne data che non fu possibile far finta di niente o tornare indietro, e grazie a nuovi mezzi come la televisione i tagli di capelli, i vestiti colorati e gli “all we are saying is give peace a chance” di John Lennon entrarono nelle case, nei luoghi di aggregazione, abbattendo barriere e distanze. Anche il Belpaese a suo modo si stava trasformando, da paese agricolo a industrializzato, con un Sud terra di emigrazione e Nord terra di opportunità, descritto benissimo dal brano di Luigi Tenco Ciao Amore Ciao. La memoria collettiva ha fatto il resto, ecco la risposta alla nostra domanda iniziale.
Ma non è tanto di fatti storici che dobbiamo parlare (quelli li possiamo desumere da Wikipedia)quanto del nostalgismo che avvolge un’epoca vista come una sorta di golden age. Detto volgarmente, si tratta di una forma di negazione della banalità del presente a favore dell’idealizzazione di un determinato periodo storico durante il quale saremmo stati più a nostro agio: è piuttosto comune, ognuno di noi ci avrà fantasticato qualche volta. Ma non è solo nostalgia, è qualcosa di più in questo caso, è un vero e proprio bisogno di riappropriarsi di sé, di portare al compimento finale la rivoluzione culturale.
Partiamo dall’esempio più evidente: se negli anni ’60 l’emancipazione della donna ha fatto passi da gigante altrettanto pochi ne sono stati fatti nella lotta e nell’abbattimento degli stereotipi e ancora oggi assistiamo a fenomeni come il catcalling, il mercimonio emotivo, l’imparità degli stipendi e delle mansioni, il pregiudizio e la demonizzazione della donna che abbia avuto più partner, vista come una poco di buono. Tuttavia, soprattutto in questi giorni si avverte l’accorata protesta di coloro che sentono il bisogno di mettere la parola “fine” a questa pratica. La stessa nudità viene vista, specie in Italia, come un tabù, fa ancora scalpore vedere una persona come natura l’ha fatta, suscita imbarazzo e viene subito ricondotta alla sfera della trasgressione, del peccato, frutto del retaggio secolarmente cattolico. Ora come allora, la necessità di vedere il tramonto del padre-padrone o del concetto che “ci sia un posto per la donna” è molto forte e radicale, la differenza è che la piazza è diventata virtuale. Forse si abusa molto dei termini o non se ne conosce il significato quando si parte alla carica, ma la sostanza è che la rabbia è tanta e gli spazi di dialogo sono davvero pochi. Ma questo è solo un esempio.
Più in generale abbiamo ragione di credere che, oggigiorno, ci sia una compressione così forte dei bisogni e degli spazi tali da spingere molti a chiedersi se sia davvero giusto tutto quello al quale si viene sottoposti quotidianamente, ci si chiede se forse non sia il caso di opporsi alla tirannia paternalistica dello Stato, alla prepotenza, al sopruso che sta riprendendo vigore nei comportamenti sociali; è qui che sorge un problema ulteriore, se anche opporsi come unità, come collettività, sarebbe l’ideale ciò sarebbe irrealizzabile nella pratica, visto che non amiamo “prendere freddo”, la pancia è piena e la fame è poca, onde per cui rimane tutto un mero discorso per intellettuali da salotto, per dirla con gli Zen Circus: “ormai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuote”. A ciò aggiungiamo il fatto che da marzo 2020 le idee e i progetti che avevamo sono stati sovente frustrati dai vari lockdown e restrizioni, bloccandoci in un limbo senza via d’uscita, ci sentiamo impotenti e non sappiamo dare uno scopo alla nostra vita, ci chiediamo se alla fine non sia tutto qui, se potremo mai tornare a vivere; ma la scelta la compiamo solo dopo gli interrogativi, decidendo di non far nulla, il che non vuol dire non avere aspirazioni quanto piuttosto non avere le forze sufficienti per trasformarle in azioni concrete, passando sul piano della realtà.
Ed ecco che interviene, per chi ancora è in grado di attivarla, la forza dell’astrazione che ci porta a rifugiarci in gabbie dorate, in determinati periodi. La mia gabbia preferita è costituita, sicuramente, dall’aria frizzante degli anni in cui il mondo ha avuto la forza di reagire e di cambiare rotta, gli anni in cui c’era fame e voglia di vivere, in cui si era in grado di opporsi, quell’ottimismo contagioso finisce per influenzare anche te, basta solo ascoltare un brano dei Turtles o vedere un filmato delle proteste per i diritti della gente di colore o dei festival di Monterey e Woodstock, agli albori della musica rock, in compagnia dei più grandi artisti mai esistiti, figli del baby boom (da cui boomer, guarda un po’) e della Guerra Fredda. A un certo punto, tuttavia, il sogno finisce e ritorno nel 2021, a quest’epoca che tanto mi sta stretta e in cui mi trovo a vivere.
Perché ho bisogno di un rifugio astratto in cui andare?
Bella domanda, ma lo faccio forse perché senza di esso mi sentirei perso, perché dal presente non riuscirei a cavarci un ragno dal buco, perché non riesco ad approvare quest’epoca che predica odio e prepotenza oppure, semplicemente, perché sono ancora in grado di sfruttare la mia immaginazione. E mi va bene così. Le vie terrene sono finite, quelle della mente no, e per fortuna!
Dario Del Viscio
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