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In occasione della mostra “Una vita” di Gavino Sanna ad Alghero nello spazio de Lo Quarter, abbiamo potuto intervistare il famoso pubblicitario.

Gavino Sanna, classe 1940, nasce a Porto Torres e avrà una carriera straordinaria vincendo sette Clio, l’Oscar mondiale della pubblicità.

Una carriera vissuta tra la Sardegna, Milano e gli Stati Uniti per poi tornare nell’isola per reinventarsi ancora una volta.

Come ha iniziato il percorso da pubblicitario?

«Ho frequentato scuole ad indirizzo artistico ma al termine non sapevo dove andare.

Convinto dal giudizio dei miei professori circa la mia buona inclinazione verso il disegno, mi venne voglia di andare a trovare delle persone in continente per chiedere se avessi la possibilità di iniziare un lavoro.

Ho conosciuto un mio zio che faceva l’illustratore, occupandosi delle caricature per il Corriere dei piccoli: la mia scusa era di andare a trovarlo per chiedere se quello che facevo poteva essere di suo interesse. Mi ha fatto i complimenti ma non è nato niente da questo incontro.

Quasi di ritorno, sono andato ad incontrare un giornalista sardo che lavorava a Milano presso una delle più grandi agenzie pubblicitarie italiane.

È stato molto gentile, mi ha chiesto cosa avessi in animo tornando in Sardegna, mi chiese se mi sarebbe piaciuto lavorare per la pubblicità. Accettai. Allora mi disse di tornare in Sardegna, salutare babbo e mamma e di tornare a Milano perché mi avrebbe assunto».

Quanti anni aveva? E cosa è successo in seguito?

«Quindici… diciassette anni. Da lì è iniziata la mia carriera pubblicitaria. Passando da un’agenzia all’altra ho guadagnato anche qualche soldo in più fintanto che fui assunto da un’agenzia internazionale. Dovevo lavorare sui clienti che l’America ci mandava per le traduzioni e campagne, ma io non sapevo una parola di inglese. Compresi che la pubblicità mi piaceva ma volevo avere la possibilità di migliorare quindi ho deciso di andare a studiare l’inglese in America.

Ho avuto la possibilità di frequentare il corso di inglese presso la New York University. Ho cominciato così: studiando e lavorando, cominciando a capire come funzionasse in America la pubblicità. Non era un carosello come in Italia ma era molto più interessante.

Avevo la possibilità di studiare e lavorare ma è stata anche un’esperienza poiché potevo visitare mostre e musei.

Poi ho ricevuto una proposta da parte di un’agenzia americana di aprire una succursale a Milano. La mia attitudine arrivato in Italia era quella di ribaltare la creatività delle pubblicità italiane applicando ciò che avevo imparato in America.

Con qualche difficoltà aprimmo questa agenzia: proponemmo delle ottime campagne, la famiglia pubblicitaria italiana iniziò a capire che c’era qualcuno che poteva cambiare le cose.

Ho vinto tanti premi sia in America che in Italia fintanto che un giorno a Milano, mentre mi stavo facendo la barba, chiamo mia moglie e le dico “Senti io mi sono stancato, adesso chiamo gli americani e vado via! Mi sono stancato di fare il pubblicitario”.

Ho lasciato tutto e ho fatto una cosa che mai avrei pensato di poter fare: il vignaiolo.

Alcuni miei amici erano preoccupati perché pensavano che non avessi lavoro, perciò mi hanno proposto di fare il vignaiolo: da astemio mi sentivo lontano da quel mondo ma gli dissi che se avevano in animo di fare la cantina più bella in Sardegna con il mio stile di ricerca di bellezza (ho studiato architettura), ci sarei stato.

Mi hanno dato carta bianca. Da lì è cominciato tutto: ho disegnato la cantina e comprato i terreni. Già vedere in giro queste bottiglie completamente diverse da tutte le altre, il tipo di vini era una piccola rivoluzione: abbiamo avuto un successo molto interessante, nei primi dieci anni abbiamo prodotto 850.000 bottiglie, una cifra pazzesca!

A 83 anni non riesco a lasciare quest’attività che ho cullato per tutta la mia vita.

Ora vado in giro per allestire mostre, nell’ultima a Milano alla Bicocca ho preso consapevolezza di mostrare il mio percorso».

Ha curato anche la campagna pubblicitaria per la Saras. Le è piaciuto lavorare per loro?

«Sì, mi ha contattato la loro responsabile per la pubblicità, chiedendomi se fossi interessato, in più era in Sardegna: l’idea mi è piaciuta.

Ho incontrato i Moratti, sono stati molto gentili e garbati, ho mostrato loro i miei lavori. Credo di aver fatto la più bella pubblicità in Sardegna. C’era la possibilità di spendere un budget importante, uscivamo con un’intera pagina di giornale tutte le settimane: per me è stata una gioia infinita».

A livello etico non si è posto nessuno scrupolo?

«Se avessi avuto tutte queste preoccupazioni, avrei fatto un altro mestiere. Io faccio il pubblicitario, il grafico e scrivo. Ho scritto 38 libri, non so quanti hanno fatto altrettanto…

La serietà è fare bene quello che fai.

Io devo raccontare una storia che riguardi la Saras, la Barilla, la Fiat, nessuno mi ha chiesto “Lei è comunista o fascista?” sono fatti miei non dovrebbero interessare».

E invece qual è stato il lavoro più divertente da pubblicitario?

«Le cose più divertenti sono state le caricature con cui tra l’altro ho iniziato».

Quale delle due attività, pubblicitario e vignaiolo, le ha dato più soddisfazioni?

«Sono cose completamente diverse.

La mia è stata una vita di un giovane ragazzo che si è impegnato studiando, vedendo e copiando chi ne sapeva di più, ho fatto tutti gli studi con una sorta di impulso sardo: non lascio mai la matita sul tavolo e dico “non ci riesco”.

Sono andato a lavorare in un posto in cui non sapevo una parola di inglese, tutte queste cose con l’orgoglio di essere sardo, prima di essere italiano sono sempre stato sardo. Una poetessa ha scritto che da vecchi si ritorna sempre in un posto che non si è mai lasciato, sono tornato in Sardegna a finire la mia vita di pubblicitario e scrittore».

Quale aspetto della Sardegna le è mancato quando era nel continente?

«Fondamentalmente niente, perché se tu vai avanti e inizi con le tue paure e nostalgie non vai da nessuna parte».

Cosa ne pensa dello spot dell’Esselunga?

«Tanto rumore per nulla. Ho visto e fatto di meglio nella vita».

La Voce del Sud

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