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Lo posso replicare che i vecchi sono ragazzi per la seconda volta”, è tratto da un dialogo tra padre e figlio, da le “Nuvole” di Aristofane.  Quest’ultimo descrive la diretta opposizione tra il sistema sociale tradizionale fatto di antichi insegnamenti e personificato da Strepsiade e il sistema sociale innovativo incarnato nel giovane Fidippide, di formazione Sofista.

Storicamente questa rappresenta la prima inversione di tendenza, con giovani ribelli che rivendicano uno sganciamento dalle generazioni precedenti. 

Cosa si intende per “gap generazionale“:

Il termine “gap generazionale” indica proprio il divario di idee, norme culturali e opportunità che si instaura tra le vecchie e le nuove generazioni, espressione coniata negli anni Sessanta proprio per sottolineare le divergenze tra Baby Boomers e gli antecedenti.

Ad oggi si parla più frequentemente di divario generazionale ma non possiamo di certo pensare che questo tema sia un new topic

Le vecchie e nuove generazioni rappresentano due pilastri divergenti ma essenziali: esperienza ed innovazione. Nonostante ciò, risuonano familiari frasi come: 

“i giovani di oggi non vogliono lavorare”;

“ormai ha superato i cinquanta e non possiamo più investire nel suo sviluppo”;

“ai miei tempi la carriera si faceva dopo anni di esperienza e duro lavoro”;

“ai miei tempi a diciotto anni te ne andavi di casa e avevi già un figlio”;

“non so come relazionarmi con mio figlio, non mi ascolta”;

“non so come relazionarmi con i miei genitori, non mi ascoltano”.

Queste sono espressioni di riflesso ad un concetto stereotipato molto diffuso sulle differenze di età e generazionali, fino a sfociare in un fenomeno che prende il nome di “ageismo“. Con questo termine si intende la discriminazione nei confronti di una persona o più persone in base all’età, sia giovane che avanzata ed estesa dall’ambito professionale a quello sociale.  

Le affermazioni sopra citate potrebbero non sembrare del tutto false, ma ciò che è certo è che vi è una mancanza di conoscenza e consapevolezza su cosa anima davvero le persone di generazioni diverse e i rispettivi potenziali.

Ci si sofferma ben poco sulle rispettive leve motivazionali, processi decisionali, modalità di apprendimento. 

L’età quindi contribuisce a creare una ennesima “diversità” all’interno della nostra società. Punto importante e da non trascurare è che rappresenta l’unica categoria di diversità che presto o tardi discriminerà ogni persona, a prescindere dal sesso, etnia etc. 

Saremo tutti considerati ancora troppo giovani per essere presi sul serio e ormai troppo vecchi per contribuire allo sviluppo della società. 

Ma cosa ha incrementato ed incrementa questo divario?

Le generazioni che vanno dalla Builder e Baby Boomer (quelle dagli anni 20 agli anni 60, per intenderci) fino alla Generazione Alfa (2011-2013), condividono un mondo intrecciato da due modelli che ne descrivono l’incertezza attuale.  

L’acronimo VUCA è stato coniato dall’Esercito degli Stati Uniti alla fine della Guerra Fredda, ed è spesso utilizzato in tempi di crisi aziendale ma esteso in modo generico all’intero ambito sociale.

La descrizione è quella di un mondo caratterizzato da: 

  • Volatility (volatilità): cambiamenti rapidissimi, che richiedono un adattamento altrettanto rapido. Le modalità di apprendimento e risposta sono cambiate nel corso del tempo, perché “modellate” da fattori esterni ed ambientali, come l’uso della tecnologia. 
  • Uncertainty (incertezza): difficoltà nelle previsioni. Denota vulnerabilità ai cambiamenti inaspettati 
  • Complexity (complessità): maggiore difficoltà di analisi, dovuta ad una sempre maggiore interconnessione tra più fattori e difficoltà a gestirli. 
  • Ambiguity (ambiguità): maggiore difficoltà a tracciare e delineare i propri percorsi

Sebbene ancora tanto attuali, questi punti stato definiscono un periodo storico di poco antecedente a quello attuale. Ma perché oggi la sentiamo più che mai questa lontananza?

La parola magica è velocità

Il mondo VUCA adesso va velocissimo: ciò che un tempo avveniva in dieci anni oggi succede in un anno. E’ caratterizzato dall’aggravarsi del quadro macro-economico, la crisi climatica temuta dalle nuove generazioni, la globalizzazione, le nuove consapevolezze.

Oltre alla velocità, a cambiare l’impostazione delle nuove generazioni e a rendere quasi inattuale il VUCA ci ha pensato la pandemia Covid-19. Infatti nel 2020 J. Cascio, storico e ricercatore, ha lanciato una nuova sigla, quella del BANI

  • Brittleness (fragilità)
  • Anxiety (ansia)
  • No-linearity (non-linearità)
  • Incomprehensibility (incomprensibilità)

Sebbene VUCA e BANI si intreccino, richiedevano e richiedono competenze diverse.

Il mondo VUCA ricercava competenze che potessero colmare volatilità, incertezza, complessità e ambiguità. Era ben visto sicuramente un approccio equilibrato al rischio, l’apertura alla sperimentazione, la capacità di riformulare problemi e sfide, se non anche l’autoconsapevolezza psicologica e fisica, la quale aveva da sempre rafforzato le decisioni di fronte ad un quadro di instabilità. Ed infine la propensione ad accogliere il cambiamento come opportunità. 

Le competenze di cui necessita il mondo BANI sono il risultato di un percorso iniziato con il Covid-19 ed arrivato ai giorni nostri. La parola che per antonomasia è associata al contrasto della pandemia è resilienza, in risposta alla fragilità. 

Con il covid sono emerse situazioni tendenzialmente ansiogene ed stata importante e lo è ancora l’empatia, tra persone, colleghi e famigliari e la capacità di lavorare in team. 

Ancora, conseguenza alla rapidità del tempo e al Covid-19, è avvenuto un vero e proprio rallentamento della strutturazione del corso della vita, in contrapposizione al passato. 

Da una parte le nostre vite si allungano insieme alle prospettive e l’orizzonte della vecchiaia estrema si allontana. La società della performance spinge le nuove generazioni a raggiungere il massimo dell’ottimizzazione, un apice che possa poi assicurare un posto di lavoro sicuro e una crescita professionale, la stessa che spesso rappresenta solo un’utopia. 

In questo scenario, i fenomeni sono quelli della new adthood e new youth e la cosiddetta “teoria del ritardo”, purtroppo spesso poco concepita dalla vecchie generazioni.

Per cui, nel nostro contenitore sociale, tutta questa eterogenicità di pensiero e di vita tra le varie generazioni e gruppi generazionali, è diventata caotica, la si percepisce di più. 

Consciamente siamo tutti d’accordo sulla necessità di non discriminare la visione di un adulto o un giovane, ma questa considerazione logica si scontra con meccanismi che avvengono inconsciamente. Mettere in discussione le proprie ideologie, basate sul proprio vissuto, risulta essere realmente difficile, sia che tu sia un giovane o un adulto o anziano.

In risposta a questi cambiamenti quale approccio occorrerebbe adottare?

L’inclusione.

Gli strascichi del Covid-19 hanno messo a dura prova la nostra stabilità, economica ma anche e soprattutto emotiva. Il mondo VUCA ha subito un rallentamento e l’individuo è stato portato concentrarsi su se stesso e ad interrogarsi su valori che prima di allora aveva dimenticato.

Per cui, in risposta alla pandemia, si è assistito ad una forte ripresa della ricerca di questi valori, intesi come vita più lenta e semplicità, ancora presenti nella vita dei nostri genitori, nonni e antenati. 

Includendo tutto questo nel proprio percorso di crescita, sarebbe possibile ritornare all’origine delle cose, senza cadere nella superficialità, trappola del mondo attuale.

D’altro canto, i figli del mondo BANI non possono non essere ascoltati. 

I giovani reduci dalla pandemia sono quelli che sanno cosa significa fermarsi quando già andavano di corsa e hanno costatato anche la necessità di come, quando e se farlo: una forte presa di posizione in risposta ad un mondo che oggi ha ripreso a correre. 

Di base occorre scardinare una serie di impostazioni mentali che rendono spesso marmoree le generazioni e i loro rappresentanti verso un qualcosa di fluido e dinamico. 

Sarebbe opportuno adottare  una prospettiva che piuttosto che “blaming the victims” sia in grado di rendere conto dei processi di mutamento individuale e sociale, riconoscendo l’esistenza di un vero e proprio passaggio generazionale e l’esigenza di un pensiero che contempli questo. 

Per arrivarci potremmo prendere spunto da un concetto espresso da Karl Mannheim, sociologo degli anni Novanta, che introduce il concetto di nesso generazionale, evidenziando che tale connessione non debba avvenire tra generazioni cronologiche, ma che questo nesso ci sia grazie ad altre consapevolezze e risposte comuni agli aventi storici.

Potremmo reputarci un’unità generazionale formata, sì, da gruppi distinti di generazioni, ma connessa da visioni e orientamenti che operano sinergicamente, fiduciosi del passato, presente e futuro.

Claudia Coccia

Bibliografia e sitografia:

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