Al peggio non c’è mai fine, narra una credenza popolare. Esiste un luogo dove tale massima prende forma, fino a narrare fedelmente la realtà. Questo Paradiso trasformato in Inferno è Taranto. L’ex Ilva è il suo “teatro degli orrori”.
Passato nel corso dei decenni da simbolo del progresso del Mezzogiorno a “mostro” capace di spezzare numerevoli vite umane (diverse delle quali troppo giovani per congedarsi da questo pianeta), l’impianto industriale tarantino è ancora oggi uno dei più grandi problemi del nostro Paese.
Da tempo ormai si discute sul delicato equilibrio lavoro – salute che, soprattutto per scellerate politiche aziendali, non è mai stato raggiunto.
Raramente, però, ci si è trovati dinanzi ad una situazione catastrofica come quella in essere. Uno stallo travestito da un confusionario “tirare avanti” che rischia di far crollare definitivamente il castello di negligenze, di scandali, di promesse mai mantenute e di sogni spezzati nel peggior modo possibile, all’improvviso e in un solo colpo.
Ex Ilva Taranto: il caso “Ambiente svenduto”
Recentemente una decisione ha mandato su tutte le furie decine di famiglie del capoluogo ionico. Il riferimento è allo spostamento del processo “Ambiente svenduto” da Taranto a Potenza.
La scelta è stata motivata dal fatto che alcuni giudici chiamati ad emettere la sentenza fossero effettivamente parte in causa, vittime della vicenda che ha provocato malattie e morti nei quartieri vicini all’acciaieria.
La designazione di una nuova sede giudiziaria ha difatti annullato la sentenza di primo grado che prevedeva la condanna per 26 imputati.
Legittimo pensare che questa mossa, per quanto legalmente giustificata, punti alla prescrizione del reato con annessa assoluzione di massa. Per la serie “finire a tarallucci e vino”.
I 4+12 interessati
Al contempo sono scaduti i termini per presentare le prime buste finalizzate all’acquisizione dell’ex Ilva di Taranto da parte di un nuovo proprietario. L’esito di questa prima fase piuttosto interlocutoria ha visto avanzare soprattutto quattro candidati: un ucraino, due indiani, un americano.
Detta così suona tanto come l’incipit di una famosa barzelletta più volte rivisitata. Effettivamente, il surrealismo che definisce i contorni della vicenda causa un effetto straniante molto simile, con un risultato opposto: nella fattispecie c’è ben poco da ridere.
Premesso che le nubi verranno diradate (forse) non prima di novembre inoltrato, le altre 12 realtà imprenditoriali (alcune anche italiane) che si sono fatte avanti puntano il loro sguardo solamente su determinate aree dell’impianto. Insomma, non proprio i classici “salvatori della patria”!
Ex Ilva: l’inchiesta “nascosta”
A completare il drammatico quadro è l’inchiesta pubblicata sulla rivista Nature lo scorso 26 luglio e condotta da un team di medici.
Il report scientifico in questione mette in stretta correlazione l’aumento di casi di autismo che interessano bambini tarantini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni con l’emissione di fonti inquinanti prodotte proprio dall’attività dell’ex Ilva.
È stato infatti dimostrato che tra le cause di questa sindrome c’è l’epigenetica, ovvero l’influsso di tutto ciò che intacca il nostro corpo, quindi anche e soprattutto i veleni industriali.
Non può essere un caso, inoltre, che i picchi di certificato autismo toccati al Tamburi e dintorni non si registrino in nessuno degli altri comuni della provincia.
Perché?
Esposte tali importanti novità, sorgono inevitabilmente diverse domande le cui risposte vengono volutamente omesse da chi ha tutti i mezzi per attuare un cambiamento.
I quesiti in ogni caso li mettiamo per iscritto, non si sa mai…
Perché a Taranto non ci può essere una vera giustizia per tante vittime innocenti?
Perché Taranto viene così tanto strumentalizzata?
Perché su Taranto è vietato dire la verità?
Felice Marcantonio
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