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E ora? Certamente è la domanda più diffusa in queste ore dopo che nella giornata di ieri un’intensa fumata nera ha chiuso l’incontro a Roma tra il governo italiano ed Arcelor Mittal per discutere del futuro dell’ex Ilva di Taranto.

La rottura tra le parti, come è ormai chiaro, è insanabile. Ergo, lo spettro della chiusura del più grande impianto acciaieristico europeo assume i contorni di una tragica realtà. Sì, utilizziamo pure questi termini forti perché rispecchiano i fatti, quelli che per troppo tempo sono stati nascosti, come la polvere sotto ai mobili, nella speranza che un non si sa bene cosa potesse cambiare il finale.

Già nei mesi addietro, purtroppo, vi abbiamo raccontato della situazione drammatica in cui versano gli operai dello stabilimento pugliese. Da ormai mesi, oseremo dire da anni (e prendiamoci pure il rischio di essere smentiti da prove effettive) la multinazionale che ad oggi controlla la maggioranza delle azioni del “mostro” (come lo definiscono molti tarantini per ovvi e legittimi motivi) si è in realtà trasformata essa stessa nella più abominevole creatura, tagliando significativamente il capitale da investire nell’ex Ilva e mettendo ora alla porta migliaia di famiglie.

Tutto ciò con la complicità di una serie di governi sordi e di un esecutivo che, sulla falsariga dei precedenti, continua a non sentire ragioni e che passerà tristemente alla storia come il boia.

C’è profondo rammarico, anche nelle parole del sottoscritto, per un finale già scritto e che avrà conseguenze catastrofiche. Per tanti anni a Taranto si è parlato di salute e di lavoro come due rette parallele che per questo non si incontreranno mai, ma mai nessuno poteva immaginare che tra giorni, forse mesi, la città si risveglierà senza avere né l’una né l’altro.

Quando qualcuno rinsavirà, se accadrà, potrebbe già essere troppo tardi!

Felice Marcantonio

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