Che cos’è l’estate di San Martino e perché si chiama così?
Quante volte a scuola vi è capitato di leggere poesie di poeti che ne celebrassero la giornata?
Riecheggiano ancor’ nella mente, al sol pensiero, i famosissimi versi del Carducci:
“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare”.
Eppure i versi a venire ci raccontano poi di strade di un borgo in festa, con un profumo di vino che accarezza le vie di tutto il paese e che, così, rallegra gli animi.
Si celebra, dunque, una festa: quella di San Martino.
Ma di cosa si tratta?
Con “L’estate di San Martino” ci si riferisce al periodo autunnale in cui, dopo il primo freddo, si verificano condizioni di bel tempo. Nell’emisfero australe coincide con la fine di aprile e inizio maggio, mentre nell’emisfero boreale con l’inizio del mese di novembre.
Il nome ha origini religiose e tutto si ricollega alla tradizione del mantello secondo la quale Martino di Tours, proprio durante la giornata dell’11 Novembre, mentre si trovava in Gallia nel cammino verso casa, durante una forte bufera incontrò un mendicante e spinto dalla sua magnanimità gli offrì metà del suo mantello. Accadde, però, che dopo poco la bufera cessò e il cielo si schiarì, consentendo al sole di fuoriuscire e di riscaldare le temperature. Proprio come in una giornata d’estate.
Dunque, quando si parla dell’estate di San Martino si fa riferimento ai tre giorni – in genere – di un periodo in cui le temperature risultano più miti e prende il nome proprio dallo stesso Martino di Tours, divenuto poi Santo dopo che quella stessa notte ebbe in sogno Gesù, che gli preannunciò la sua futura santificazione e rivelandogli, anche, che dietro a quel mendicante si celasse lui stesso.
Una vera e propria festività, questa dell’11 novembre, che ancor’ oggi viene celebrata in molti paesi come in Belgio, Germania, Austria, Polonia, Francia, Estonia e Lituania, dove i bambini costruiscono lanterne di carta o di legno e le portano nelle diverse processioni che si svolgono in molte cittadine, per poi concludere il tutto radunandosi intorno ad un falò, mangiando dolci tipici e cantando canzoni dedicate al Santo.
Tradizionalmente in questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo, abbinato solitamente al primo raccolto di castagne. Tradizione celebrata, come anticipato, anche nella famosa poesia di Carducci, intitolata appunto San Martino e in un’altra poesia dedicata all’estate di San Martino, incentrata più sull’aspetto fugace e illusorio del suo improvviso incanto, Novembre di Giovanni Pascoli. A tal proposito le ricordiamo e analizziamo brevemente.
Giosuè Carducci, San Martino.
Il titolo del componimento fa, ovviamente, riferimento all’11 Novembre, quindi. Si tratta proprio di una delle poesie più celebri del poeta e compare nel terzo libro della raccolta poetica “Rime Nuove”.
“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.”
Assistiamo dunque a una descrizione di un paesaggio naturale e di una nebbia che avvolge le colline, ma anche di un borgo in festa, inebriato dal profumo del vino. Si percepisce, così, uno scenario contrapposto tra quello che è esterno, ovvero un mondo grigio e pericoloso e quello che è, invece, interno, ovvero quello che è protetto dentro lo stesso borgo. Passando poi dalla rappresentazione di uno scenario di collettività delle strade, con il cacciatore che arrostisce la sua cacciagione ad uno scenario più intimo, quale la visione di uno stormo di uccelli neri, con un chiaro riferimento al presagio di morte, si allontanano insieme alla consapevolezza della notte che si avvicina.
Giovanni Pascoli, Novembre.
Novembre è una poesia tratta dalla raccolta “Myricae” e pubblicata la prima volta nel 1891. Originariamente anche questa prendeva il nome di San Martino, proprio come quella di Carducci da cui Pascoli si ispira.
E’, infatti, una poesia che condivide molto con la precedente, compreso il senso di tristezza relativo alla morte, che sappiamo essere uno dei motivi per eccellenza della produzione di Pascoli.
“Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.”
Dai primi versi si percepisce un ambiente gioioso che poi, però, lascia spazio a versi di tristezza. Dunque, se all’inizio si ha l’illusione di una bella giornata primaverile, ben presto il poeta rende evidenti i particolari autunnali che lo denotano.
“È l’estate, fredda, dei morti.” conclude così il suo componimento, contestualizzando in questo modo anche quello che rappresenta, per eccellenza, il mese di novembre, ovvero la commemorazione dei defunti.
Carmela Fusco
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