La libertà è la donna più ambita su questa terra. Essa assume diverse sfaccettature e si manifesta in diverse forme. In questi giorni abbastanza angoscianti, la si reclama ai confini dell’Europa, in Ucraina, nella sua forma più totale; ciò che chiede il popolo ucraino è sostanzialmente il diritto a vivere. In quei territori oggi martoriati dal “regime” di Putin ci si organizza come si può per resistere al nemico e per sposare appunto la libertà. Per semplificare un po’, potremmo dire che l’Ucraina ha trovato un padre-padrone davanti a sé che non vuole far sposare la figlia con il vicino. Come spesso capita però quando si è guidati da un amore forte e sincero, la gente ucraina è talmente pazza della libertà che sicuramente condurrà la propria battaglia fino in fondo.
A combattere per la libertà, seppur in una forma meno estrema, ci sono anche altre figure che in questi giorni cercano di sopravvivere nella Grande Madre Russia. Questi corrispondono a quella schiera di amanti della parola libera e diretta la cui convivenza è stata messa in crisi dal volere di qualche “parente serpente”. Nella fattispecie il riferimento è ad un’emittente radiofonica nata quasi 32 anni fa, più precisamente il 22 agosto del 1990. Questa radio si chiamava (urge usare almeno ufficialmente il passato) “Eco di Mosca”. Il 3 marzo scorso, i dipendenti di uno dei capisaldi dell’informazione libera (o almeno il più vicino possibile) russa hanno ottenuto il ben servito dal Consiglio di amministrazione che con un lapidario comunicato ha deciso di chiudere “baracca e burattini”, come si suol dire, decretando la chiusura immediata della stazione radiofonica e del suo sito web. Il motivo di questa drastica decisione risiede nel fatto che l’emittente ha usato termini “impropri” per definire la guerra in Ucraina. “Guerra”, appunto, “invasione”, parole bandite dall’organo di controllo del Cremlino perché giudicate false espressioni, fuorvianti appellativi della “missione speciale” comandata da Putin.
Ma perché ha fatto così tanto scalpore la chiusura dell’Eco di Mosca? Bisogna necessariamente fare un excursus storico per comprendere il peso specifico di questa realtà all’interno di un sistema d’informazione manipolato dal despota di turno (salvo rare eccezioni) com’è quello russo.
“ECO DI MOSCA”: ORIGINI DI UN’UTOPIA
Nata come anticipato nel 1990 con il sole che stava per tramontare sull’URSS, la stazione radio fu pensata da Sergey Korzun, “il giornalista della verità”, come venne definito. Egli era un moscovita vissuto sotto il regime sovietico ma educato, come testimoniano i suoi studi, ad una cultura francese che lo avvicinava a posizioni più propriamente liberali, occidentali. Negli anni della perestrojka, l’Unione sovietica guidata da Michail Gorbaciov deve in parte a Korzun la scoperta dei principi di convivenza democratica. Sì, perché era proprio il giornalista in questione che in quegli anni di cambiamenti veicolò l’informazione comunista attraverso programmi alla radio e in TV. Potremmo dunque definire il suddetto giornalista come un’istituzione dell’informazione sovietica. Fino a quell’estate del 1990, quando assieme ad altri amici Korzun decise di creare una nuova realtà che avesse un unico obiettivo: raccontare al popolo russo la verità, la sola ed unica, senza manipolazioni varie. Da allora pian piano “Eco di Mosca” è diventata il baluardo della libera informazione, una casa sicura per tutti quei cittadini che volevano togliersi i paraocchi del comunismo rosso fino al midollo e tentavano, un po’ insicuri, di aprirsi al mondo, quello vero. Lo spirito di libertà (e qui torniamo al filo conduttore del discorso) non abbandonò mai il fondatore della radio moscovita, tant’è che nel 1996 questi decise di lasciare il suo incarico perché si considerava un giornalista indipendente, svincolato pertanto da logiche di squadra.
LA GESTIONE VENEDIKTOV
La pesante eredità di Korzun venne raccolta da Alexey Venediktov che, a vederlo in foto, assomiglia ad una sorta di reincarnazione di Karl Marx.
Moscovita anche lui, nasce da una famiglia divisa tra le idee patriottiche del ramo paterno ed una più spiccata vocazione democratica da parte materna. Sin da ragazzo Alexey mostrò il suo spirito libero, votato a costruirsi una propria cultura e un’idea della storia del tutto personale. Per “Eco di Mosca” intervistò vari presidenti sparsi un po’ per tutto il globo, da Clinton a Chirac passando per Hollande e finendo a Kaljulaid e Aliyev. Tra le personalità incontrate più di recente, la più autorevole è sicuramente la cancelliera tedesca Angela Merkel. Con la politica di casa ha sempre avuto un rapporto di amore e odio. Nel 1994 a Grozny sfoderò un’insolita veste da diplomatico tra ufficiali dell’esercito e autorità governative, riuscendo nel suo intento di far sedere ad un tavolo di trattative le due fazioni. Nel 2006, invece, un suo programma venne chiuso nel giro di due settimane perché conteneva critiche poco mascherate verso la magistratura russa. Sei anni dopo, Venediktov fu il protagonista di un atto rivoluzionario; decise infatti di dimettersi dal Consiglio di amministrazione dell’Eco di Mosca poiché non digeriva le pesanti interferenze di Gazprom-Media, socio di maggioranza dell’emittente, nell’assetto dirigenziale della radio. In seguito, il direttore ha mostrato riconoscenza verso il presidente Putin che, a suo dire, si adoperò personalmente per le sorti dell’Ekho.
Qui si apre una pagina contraddittoria nella carriera di Venediktov, il quale in un certo senso ammette una doppia faccia di sé stesso nel momento in cui anni fa affermò di avere una “personalità reazionaria ma politicamente conservatrice”. Su questo ossimoro ha sempre viaggiato la sua carriera, in bilico tra i dettami del maestro Kurzov che risvegliano la parte materna in lui e la voce paterna che lo avvicina ad una posizione di allineamento al potere centrale. Non bisogna dimenticare che la guida attuale dell’Eco di Mosca nel recente passato ha avvallato le scelte della Duma in materia di censura. Quell’ “accetta”, come la definisce lo stesso Venediktov, che oggi ha tagliato la testa alla sua emittente è la stessa arma usata per altri organi d’informazione nel corso degli anni da un regime non sostenuto sempre e comunque dal direttore, ma nemmeno ripudiato apertamente.
ECO DI MOSCA TRA PRESENTE E FUTURO
Oggi “Eco di Mosca” è una realtà ridimensionata profondamente, ma comunque resiste continuando a trasmettere su Youtube, come ha assicurato ai suoi collaboratori in lacrime Alexey Venediktov. Il messaggio originario, la verità “sempre e comunque”, appare recuperato e rafforzato dal periodo più buio per la radio sin dalla sua nascita. Eppure, di difficoltà l’emittente ne ha affrontate e superate; dal tentato colpo di stato del 1991, passando per le guerre cecene, l’assedio al teatro Dubrovka e finendo con la guerra in Georgia e la rivolta di Majdan. Certo, il compito di oggi è il più arduo di tutti, come ammettono tutte le voci della radio. “In un quarto d’ora sono stati cancellati 32 anni di storia”, una bella botta insomma. Ma questo per l’Eco di Mosca sarà “un nuovo inizio”, per usare le parole di Venediktov che si espone così da inguaribile ottimista. La battaglia dell’informazione libera si unirà, come riflettono tra i corridoi della stazione radiofonica, alla salvaguardia di quel mondo nato con la perestrojka, di cui lo stesso Putin faceva parte (paradosso). In gioco, come dice Serghej Buntman, cofondatore dell’Ekho, c’è la Russia di oggi e di domani, uno Stato che 32 anni fa, anche grazie al ruolo di una visionaria radio, scelse di affacciarsi lentamente ma con convinzione alla democrazia e che oggi cerca di non piegare la testa come può difronte alle smanie deliranti di un folle che quella libertà vuole estirpare.
Felice Marcantonio
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