Orlandi: “La verità già la conoscono, basta raccontarla”
“La verità c’è, sta da qualche parte e molte persone in Vaticano la conoscono. Ne sono convinto. Ci sono situazioni che volutamente non sono mai state approfondite”. Così afferma Pietro Orlandi, fratello della quindicenne scomparsa nel lontano 22 giugno del 1983, presentando in passato una serie di istanze per la riapertura del caso.
Il lavoro, stando all’ufficio del promotore di giustizia, ripartirà dall’esame di ogni singolo dettaglio: dai dati processualmente acquisiti, si seguiranno nuove piste e vecchie indicazioni all’epoca non troppo approfondite.
IL CASO ORLANDI
È uno dei cold case più noti della storia del nostro paese.
Classe ‘68, Emanuela Orlandi è scomparsa un pomeriggio del 1983 all’età di 15 anni. Aveva appena finito il secondo anno di liceo scientifico e studiava flauto e canto corale: difatti, stando ai racconti di quel giorno, stava rientrando proprio dalla lezione di musica.
Penultima di cinque figli, lei e la sua famiglia risiedevano in Vaticano. Ed è proprio in Vaticano che lavorava suo padre, Ercole, come commesso della Prefettura della casa pontificia. Nonostante la vita in centro Roma, la famiglia non viveva in condizioni abbienti, pertanto gli inquirenti hanno scartato l’ipotesi di riscatto nell’immediato.
La prima pista seguita fu collegata ad una persona conosciuta, probabilmente, il giorno del rapimento stesso. Stando alla versione dei fatti riportata, Emanuela, uscita dalla lezione di canto prima del termine, telefonò a casa sua dove rispose la sorella Federica. Qui racconta di come un uomo l’avrebbe fermata per proporle un lavoro di volantinaggio alla sfilata di moda delle sorelle Fontana e che fosse rimasto ad aspettarla fino al termine delle lezioni per ricevere una sua risposta sulla partecipazione all’evento, atteso per il sabato successivo. Federica le sconsigliò di accettare la proposta e le suggerì di tornare a casa per parlarne con la madre. Ma Emanuela quella sera non rincasò.
Il racconto sulla presunta offerta di lavoro è stata confermata anche dalle amiche della ragazza, con le quali aveva chiacchierato all’uscita da scuola.
Dalle indagini risultò, inoltre, che nello stesso periodo altre adolescenti di quell’età erano state adescate da un uomo con il pretesto di pubblicizzare prodotti cosmetici in occasione di eventi.
Alla scomparsa, la capitale è stata tappezzata da manifesti con il suo volto e qualche indicazione sul suo aspetto fisico:
L’INIZIO DELLE INDAGINI
La famiglia Orlandi quella sera, nel panico, si rivolse alle forze dell’ordine. La polizia non sembrava ancora persuasa a perseguire alcuna pista seria: per tutti, tranne per i suoi genitori, Emanuela si era allontanata per sua volontà, probabilmente per un moto di ribellione adolescenziale.
Domenica 3 luglio 1983, Papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus pronunciò per la prima volta il nome della ragazza e rivolse un appello ai “responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi”. Fu così che venne ufficializzata l’ipotesi di un sequestro, e venne fatto dal Vaticano.
I VARI FILONI
Si è ipotizzato che il rapimento fosse legato all’attentato di Giovanni Paolo II. In questa direzione vanno le telefonate anonime, tra cui quella dell’Americano, un uomo con accento anglosassone, mai identificato: afferma di essere il sequestratore. Chiede una linea telefonica diretta con il Vaticano, promettendo la liberazione di Emanuela in cambio di quella di Ali Ağca, l’attentatore del papa.
Si susseguirono altre telefonate ma, nonostante le richieste di vario tipo e le presunte prove, l’Americano non apre nessuna reale pista. Non vengono di fatto mai fornite prove che dimostrino l’esistenza in vita di Emanuela né tantomeno che la ragazza ne sia effettivamente ostaggio.
A tutti gli effetti, la pista terroristica sembrava un diversivo.
Arrivò inattesa una nuova fonte anonima che dichiarò alla trasmissione Chi l’ha visto? che se si voleva risolvere il mistero di Emanuela bisognava scoprire chi fosse sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, a Roma. Un luogo dove nessuno può ricevere sepoltura a meno che non abbia un permesso speciale o non abbia reso un grosso favore al Vaticano. La scoperta lascia perplessità: il defunto è Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della Banda della Magliana.
Si aprì una seconda pista:
nel 1997 la compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, svelò alle forze dell’ordine come Emanuela fosse stata segregata per alcuni giorni in un appartamento a Roma. Secondo la donna, la ragazza rimase con loro per qualche giorno, venne spostata in due appartamenti diversi e poi fu riconsegnata a un uomo, un prete, che venne a prenderla con un’auto con una targa della città del Vaticano.
Perché la banda della Magliana era coinvolta con il Vaticano e nel rapimento Orlandi? Qual era il favore che De Petris stava facendo al papato e che gli sarebbe valso il permesso di essere sepolto a Sant’Apollinare?
La risposta arrivò da un altro boss della Magliana, Maurizio Abbatino, che rivelò qualche anno più tardi che il motivo del rapimento era legato al denaro. I soldi della mafia arrivavano regolarmente nelle casse del Vaticano tramite il Banco Ambrosiano in un giro di riciclaggio, ma qualcosa non era andato secondo i piani e questi soldi erano rimasti bloccati oltre le mura del papato. La mafia, pertanto, li rivoleva indietro.
Il rapimento avrebbe dovuto intimare il Vaticano sul silenzio di certe questioni delicate, come quelle di natura finanziaria, che hanno visto il coinvolgimento di banche, mafia, partiti politici. La scomparsa di Emanuela si incrocia con i grandi scandali delle cronache del secolo scorso.
L’ARCHIVIAZIONE DEL CASO ORLANDI
Nel 2015 i magistrati acquistano sfiducia. “Da tutte le piste seguite e maturate sulla base di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di numerosi testimoni, di risultanze di inchieste giornalistiche e anche di spunti offerti da scritti anonimi e fonti fiduciarie, non sono emersi elementi idonei a richiedere il rinvio a giudizio di alcuno degli indagati“. Una conclusione recepita prima dal gip e confermata poi dalla Cassazione.
Tuttavia, qualche anno prima, il 18 marzo 2013, papa Francesco incontrò Pietro Orlandi assieme all’anziana madre.
“Stringendomi la mano mi ha detto ‘Emanuela sta in cielo’, sono rimasto di ghiaccio”. Racconta l’uomo, che ha poi chiesto di essere ricevuto dal pontefice per chiedere quando e in quali circostanze sua sorella sarebbe morta. La delusione si mischia alla paura e alla rabbia.
Forte è l’ipotesi che abbia cercato di chiudere la storia confessando implicitamente alla famiglia la verità.
UNA NUOVA PISTA
Nel 2016 avviene un’enorme fuga di dati: migliaia di documenti segreti su corruzione e cattiva gestione finanziaria del Vaticano vengono resi pubblici.
Salta fuori un fascicolo, rimasto in cassaforte per più di 30 anni. Un dossier sulle “spese sostenute dallo Stato Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi “.
In queste pagine si susseguono date e cifre: rette, spese mediche, vitto, alloggio, spese di trasferimenti tra il Vaticano e Londra.
Viene fuori che Emanuela è stata in Inghilterra dal 1983 al 1997, ricoverata al 176 di Clapham Road, in un ostello della gioventù per ragazze di proprietà dei padri Scalabrini, una congregazione religiosa cattolica con un fortissimo legame con il Vaticano.
L’ultima voce recita “disbrigo pratiche finali” e il relativo trasferimento in Vaticano.
Lo scenario che si apre è inquietante. Nello stesso anno, la famiglia Orlandi chiede alle autorità vaticane di accedere agli atti conservati sul caso. Nessuna risposta.
PERCHE’ SONO STATE RIAPERTE LE INDAGINI
Vi è speranza che l’apertura delle nuove indagini possa presto fare luce su quanto accaduto a lei e, forse, anche a Mirella Gregori, altra adolescente scomparsa quell’anno e probabilmente strettamente collegate.
Un ruolo importante in questa decisione lo hanno avuto anche gli elementi inediti di questi ultimi mesi, emersi dopo la pubblicazione della serie Netflix Vatican Girl.
“Mentre in Italia cercavano di mettere la storia a tacere – spiega Pietro – ora andrà in onda in tutto il mondo. In 160 Paesi in contemporanea. E questa secondo me sarà davvero la svolta”.
La vera rivelazione del documentario è quella della compagna di scuola di Emanuela, che parla per la prima volta e racconta di un prelato che le si era avvicinato pochi giorni prima della sua sparizione, durante uno dei suoi giri nei giardini vaticani. Una persona molto vicina al Papa l’aveva dunque infastidita. E non erano attenzioni innocenti quelle che le aveva rivolto.
Sono trascorsi ormai anni, ma su una cosa, però, non si possono avere dubbi: dentro il Vaticano qualcuno sa da sempre cosa è successo. Ma nessun potere, per quanto forte, potrà mai fermare la verità.
Come non si fermerà mai Pietro, che non si è mai rassegnato all’idea di aver perso Emanuela. “Finché non avrò un corpo, ho il dovere di cercarla viva”.
Chiara Vitone
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