Il 5 e 6 gennaio a Salerno si sono tenuti due meravigliosi incontri per mantenere vive le parole di Peppino Impastato, vittima di mafia, uccisa il 9 maggio 1978 per mano di Tano Badalamenti a Cinisi.
La sua voce ha circolato nell’aria per ricordare come l’ironia e l’intelligenza nella comunicazione possano essere la lama più tagliente che può trafiggere il nemico rendendolo vulnerabile nel suo abituale controllo del potere.
La voce ribelle del coro
Peppino, nella sua piccola realtà di paese, è stata l’unica voce del coro a cantare una melodia ribelle e libera creando poi intorno a sé un movimento di sostegno non indifferente.
La chiave di questi incontri è stato quello di festeggiare il suo 76° compleanno. Se la memoria e la sua lotta continuano a seminare frutti, allora lui continua a vivere e per tale ragione si festeggia – e non solo si ricorda – tale evento.
Il percorso per la giustizia di Peppino
Narrare questa storia nel 2024 può essere molto semplice, ma non si può dire altrettanto degli anni di militanza del giovane e del percorso che hanno dovuto affrontare la coraggiosa madre Felicia, il fratello Giovanni insieme alla moglie Felicetta e i suoi amici più stretti.
Ogni singolo individuo che ha preso parte a questa vicenda ha dovuto sostenere i pregiudizi e i dogmi fondanti da una cultura dettata dalla paura, stracciata per poter dar vita a una voce unica che urlando ha strappato all’omertà la verità e la giustizia.
Si disse terrorista. Si disse suicida. Si confermò assassinato.
Peppino venne sequestrato nel cuore della notte, portato in un piccolo casale ai piedi di un passaggio a livello, tramortito con alcuni sassi ed una volta svenuto, fu trascinato sulle rotaie e fatto saltare in aria con un carico di tritolo.
E’ possibile riassumere in due righe quello che è capitato in una notte ma non è altrettanto facile raccontare le difficoltà emerse nel far dimostrare alla giustizia la verità.
Il depistaggio partì dagli stessi Carabinieri che, giunti sul posto, tentarono di far passare per suicida e/o terrorista il giovane.
Fu accusato di essere morto nel tentativo di mettere una bomba sui binari per collezionare come vittime i trasportati del treno in passaggio, malgrado queste accuse, l’importanza che si diede a questo caso nell’immediato fu tanto scarsa che i resti del corpo furono prelevati dopo molte ore dal fatto.
Se non conoscete i fatti successivi probabilmente rimarrete increduli: è impossibile rimanere impassibili ai dettagli del racconto.
I primi ad essere perquisiti ed accusati furono proprio i parenti e gli amici stretti. Le loro case furono messe sottosopra nel tentativo di trovare quell’indizio necessario per fondare un’accusa diffamante.
E furono proprio loro – famiglia e amici – a prendersi carico della responsabilità detenute da chi ha un distintivo consegnato dallo Stato a seguito di un giuramento che ne determina la fedeltà, cercando ogni indizio possibile, facendolo incastrare nel grande puzzle del processo che ne determinerà poi i responsabili.
Se ascoltaste le parole registrate una decina di ore prima dell’omicidio vi rendereste conto che quel ragazzo, Peppino, era un ragazzo con il rispetto per la vita e per la verità: non avrebbe mai permesso a nessuno di porre fine alle proprie battaglie e tantomeno lo avrebbe fatto con le proprie mani.
(vi lascio il link ad una delle sue ultime registrazioni: Link)
Macchina del fango
Quello di Peppino è un caso unico in Sicilia, la macchina del fango ha agito fin dalle prime luci del mattino. I cinisari si svegliarono con l’importante notizia dell’assassinio di Aldo Moro che annebbiava quella del giovane compaesano.
Peppino non morirà mai
La storia di Peppino deve continuare a vivere per ricordare quanto la mafia in ogni ambiente in cui pianta le radici ci danneggia, poggiando le basi nel terreno fertile dello Stato e nella collaborazione con esso. Noi cittadini siamo vittime di quel sistema in cui germoglia e finché ognuno di noi non ne sarà pienamente cosciente e consapevole, continueremo a favorire la loro avanzata sociale ed economica.
Peppino ha dimostrato che la diffamazione è l’arma che danneggia la malavita. Ha dimostrato pure che la diffamazione può ferire e ammazzare, ma non può di certo far tacere nessuno.
Peppino ha dimostrato che la mafia si muove silenziosa, che procede a tentoni, ingrandendosi per poi travolgerci tutti.
Peppino direbbe che la mafia è come una valanga di merda, che se non viene fermata subito ci travolgerà tutti.
Lo avrebbe continuato a dire ogni giorno Peppino.
Ora ci pensiamo noi a farlo.
Elena Zullo
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