Non pochi giorni fa ho frequentato la prima delle lezioni universitarie di questo semestre. Il mio professore di biologia molecolare stava introducendo vari argomenti che trattano delle tecnologie del DNA ricombinante al Gene Editing. Argomenti abbastanza complessi da immaginare, per chi non è del settore.
Eppure, qualsiasi lettore potrebbe intuire che si tratti di metodiche finalizzate al miglioramento di meccanismi che di base avvengono biologicamente nelle nostre cellule e all’introduzione di nuovi. L’obiettivo è univoco: il farmaco. E grazie al farmaco è possibile curare, con le rispettive modalità, varie e complesse patologie.
Alla fine della lezione però, a mia sorpresa, è stata affrontata un’altra tematica. Per il raggiungimento di determinati risultati occorre effettuare vari test statistici su un determinato numero di campioni. Qualora quei risultati siano statisticamente significativi, allora è possibile lavorarci per la realizzazione del farmaco. La scelta del campione prescinde dal fato che, per natura, questi debbano “assomigliare” all’uomo così che le risposte siano più vicine possibili quanto avviene nell’umano. Questa è la cosiddetta sperimentazione animale. Argomenti come questo, ma anche questioni come l’aborto, l’eutanasia differentemente a quanto avveniva tempo fa, oggi risultano essere oggetto di varie argomentazioni. Ma pur sempre poco chiari.
Sono aspetti che possono o non possono essere condivisi. Vi sono ormai veri e propri dibattiti, schieramenti dalle rispettive parti.
Sperimentazione animale e CE
Ruolo importante è rappresentato da una disciplina chiamata bioetica. Questa nasce come neologismo solo nel 1970. Gli anni ’70 del secolo scorso hanno posto attenzione alle possibili conseguenze sul processo scientifico-tecnologico che, pur contenendo in sé la possibilità di migliorare le condizioni di vita, se condotto in maniera indiscriminata, avrebbe potuto trascinare l’umanità e le differenti forme di vita sul baratro della distruzione. Si impegna, così, a costruire un ponte fra la cultura umanistica e quella scientifica.
E’ studiata nei corsi di studio della laurea magistrale di medicina e chirurgia, nelle lauree triennali e lauree magistrali delle biotecnologie e biologia. La formazione del ricercatore, quindi, include anche questa disciplina. L’ente di riferimento si chiama Comitato Etico (CE). E’ un organismo la cui principale funzione è la valutazione degli aspetti etici e scientifici delle sperimentazioni cliniche al fine di tutelare i diritti, la sicurezza e il benessere delle persone coinvolte. Sono ampiamente diffusi nel mondo. In Italia non è possibile sperimentare un farmaco sull’uomo senza che prima lo studio abbia ottenuto un parere favorevole da parte di un CE.
La “vita” è alla base del lavoro di un ricercatore; nessuno tra questi trae giovamento nel sezionare un animale morto. In più, è supervisionato dal CE per la Sperimentazione Animale. Il CESA è in tutte le Università italiane con almeno un Dipartimento che faccia ricerca con animali e si incarica di esaminare gli esperimenti , ne valuta l’effettiva utilità scientifica, l’impossibilità di essere sostituiti da metodi alternativi validi e via così; analizza ogni singolo aspetto dell’esperimento, dal numero di animali utilizzati, assicurandosi sempre che sia il minore possibile, al tipo di specie, preferendo sempre animali meno evoluti ai più evoluti, alle dosi, eccetera. I tempi di attesa sono lunghissimi.
Sull’aborto
L’aborto è una delle questioni più complesse al mondo d’oggi. Prima del 1975 era sanzionato dalle norme contenute nel X titolo del II libro del codice penale. Il primo passo avanti si verifica con la sentenza n 27 della Corte Costituzionale che afferma che “non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona , come la madre, e la salvaguardia dell’ embrione che persona deve ancora diventare”. Nel maggio 1978 si è arrivato alla promulgazione della Legge n°194, in vigore ancora oggi.
Tale normativa divide arbitrariamente la vita intrauterina in tre periodi: il primo coincide con i primi novanta giorni della gestazione, durante il quale è permesso l’aborto senza limiti, il secondo è quello compreso tra il quarto mese di gravidanza e la possibilità di vita autonoma del feto e si consente l’aborto solo per motivi terapeutici (tra i quali, anche la salute psichica della donna) ed eugenetici (come timori di malattie per il nascituro), il terzo periodo è infine quello compreso tra il momento di vitalità del nascituro e la nascita, durante il quale l’aborto è praticabile solo se è in pericolo la vita della donna. Al di fuori di suddette condizioni, l’aborto è un reato.
Questo è il quadro dal punto di vista giuridico, che si complica inevitabilmente se il discorso si sposta sul piano della bioetica. Ci si scontra infatti con la necessità di un ulteriore approfondimento dei diritti degli esseri umani, processo che necessita a priori una risposta al dibattito sulla questione “il feto è o meno una persona?”
Ciò può essere stabilito solo normativamente in quanto è una decisione insolubile. Diverse sono le opinioni degli studiosi anche sulla definizione del termine “persona”. Nel tempo il significato è cambiato: per Locke la persona si identifica con l’ atto del pensiero, per Hume è l’ oggetto intelligente capace di passione, è capacità di relazione, con Hegel la persona è la coscienza di sé. In tal modo il concetto di persona si è arricchito e modificato ed è tutt’ora discusso.
Per determinare se la decisione di porre fine all’esistenza di un nuovo organismo sia o meno eticamente lecita è necessario per prima cosa stabilire quando da una cellula si passi effettivamente ad un organismo con una vita propria. Secondo la medicina la vita inizia nel momento della fecondazione, quando lo spermatozoo superando la barriera dell’oocita forma lo zigote. Dopo questo stadio inizia lo sviluppo embrionale che porterà il nuovo organismo a prendere il nome di feto dopo tre mesi di gestazione.
Il periodo di tre mesi in cui avviene questo passaggio è stato considerato dalla legge italiana come limite oltre al quale l’aborto è considerato illegale. Questi sopra elencati solo i limiti imposti dalla legge e i riferimenti scientifici ed etici, ma il peso posizionato sulla bilancia è una decisione individuale, soggettiva e rispettabile.
Sulle cellule staminali
Queste hanno infatti dimostrato la loro efficacia curativa in numerosissime malattie come la distrofia muscolare, la leucemia, il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla.
La ricerca sulle cellule staminali embrionali (CSE) suscita un acceso dibattito e molte sono le persone che hanno preso posizione decisa in merito. Eppure, le parti contrapposte sono mosse entrambe dal desiderio di proteggere la vita umana. E allora, perché le opinioni sono così diverse? Tutto dipende da come si considera la blastula umana. Le CSE sono primariamente composte da cellule presenti nella blastula umana, uno dei primi stadi della vita. Un ovulo fecondato cresce fino a diventare una blastula , che può sopravvivere per un tempo limitato prima di impiantarsi nell’utero. In genere, le blastule utilizzate nella ricerca vengono estratte, purificate ed espanse in laboratori o in cliniche dove viene praticata la fecondazione artificiale.
Da una parte la distruzione di una blastula per ottenerne le cellule viene considerata equivalente all’uccisione di un bambino non ancora nato, tesi avversata da chi invece ritiene che la blastula non sia tecnicamente da considerarsi un bambino perché, in assenza di annidamento nella parete dell’utero, non avrà mai la possibilità di svilupparsi in feto. Ogni anno le cliniche specializzate nella fecondazione artificiale creano molte blastule che vengono distrutte, perché generate in soprannumero. I ricercatori in genere ritengono che sia di gran lunga preferibile utilizzare le cellule tratte da queste blastule in soprannumero per lo sviluppo di trattamenti medici in grado di, potenzialmente, salvare delle vite, piuttosto che buttarle via.
Inoltre, grazie ai recenti studi condotti da premio Nobel per la medicina Shinya Yamanaka è emersa una soluzione ai problemi etici che derivavano dall’uso delle cellule staminali embrionali in quanto è stato ideato un metodo in grado di far retrocedere le cellule somatiche (quindi già specializzate) in cellule staminali pluripotenti che hanno le stesse potenzialità delle cellule staminali embrionali.
Sull’eutanasia
Etimologicamente “morte non dolorosa”, consiste nel porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia. È un tema su cui si è infinitamente dibattuto ma, al contrario delle precedenti questioni di bioetica, la decisione di morire, presa in coscienza del paziente, non pone necessariamente le basi su linee guida medico-scientifiche: i fondamenti di questa scelta si riconoscono piuttosto nell’importanza che viene data al valore della dignità umana e della sofferenza. Questo risulta essere quindi, una delle tematiche più personali, espressione del proprio volere ed individualità. Le posizioni su questi temi sono evidentemente troppo intimi e soggettivi per poterne discutere; sarebbe, quindi, limitante distinguere il lecito dall’illecito (anche per una disciplina come la bioetica). Non potendo in alcun modo considerare tale decisione giusta o sbagliata ci si rifà ai due diversi orientamenti di pensiero: decisioni fondate sul rispetto della qualità della vita o sulla sua sacralità.
In conclusione, al giorno d’oggi ogni singolo dovrebbe essere in possesso di tutti gli strumenti necessari per costruirsi una propria “scuola di pensiero”. Alla luce dei fatti, invece, questo non risulta. Questo non accade perchè alcune teorie sono radicate, tramandate e risapute mentre altre, quelle progressiste, non si conoscono.
E’ necessario sottolineare che le spiegazioni scientifiche siano di gran lunga difficili da comprendere , ma i mezzi di comunicazione oggi sono fin troppi per non essere utilizzati. Quindi i ricercatori , poco fiduciosi, si ritirano in partenza, come se il loro mondo non fosse accessibile. Ad oggi anche le loro ragioni devono essere esposte, raccontate e perchè no, anche tramandate. Come raggiungere consensi se le ragioni non vengono estese, portate nella comunità? E’ così il peso di questa bilancia potrebbe finalmente stabilirsi e non necessariamente equipararsi.
Claudia Coccia
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Argomento interessante e affascinante, non a caso qualche mio riferimento in alcuni commenti precedenti, se pur dal punto di vista politico. Stamattina mi soffermo sulle religioni, quanto esse abbiano condizionato, influito, condizioneranno ed influiranno lo sviluppo delle scienze della vita:
la biologia, la medicina, l’ecologia, l’etologia.
Gli argomenti “classici” della bioetica: la riproduzione assistita; l’interruzione di gravidanza; l’accanimento terapeutico; l’eutanasia; il suicidio assistito; la sperimentazione genetica e la terapia genica; la donazione d’organi ed i trapianti; ecc…ecc…E’ dovuto intercedere alle religioni?.. Perché?..
La scienza avanza oppure arretra sotto l’ombra delle religioni? Se l’Etica è la ricerca del bene in se,
( ovviamente quello che si ritiene giusto ), se la bioetica è la ricerca del bene negli interventi o esperimenti con la sperimentazione e ricerca che interferiscono sulla vita umana, rimane per il sottoscritto ” ateo” il dilemma: quali studi sono stati eseguiti dalle religioni, il creato?
Gli onnipotenti? La vita eterna? La sacralità? Mi fermo alla nostra Italia, forse non tutti sono a conoscenza della bioetica cattolica ufficiale, contenuta nei documenti del magistero della chiesa, sostenendo che la persona non è creatrice e proprietaria della vita. Condivido con lei, sig. Coccia, tutte le ragioni vanno esposte e portate a conoscenza della comunità, invece, troppe volte si sentono solo voci grosse ( omelie ) , campane stonate, riti, credi e sfilate ornamentali/religiose.