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Louise Glück, la poetessa di New York cresciuta a Long Island, è la sedicesima donna premiata con il Nobel. Una vita tra poesie e dolore/lotta per l’anoressia, che l’hanno resa celebre nel mondo ma quasi sconosciuta in Italia.

L’inconfondibile voce di Louise Glück risuona in tutto il mondo da quando ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. La poetessa ha convinto i critici in particolare per il suo stile controllato ed elegante, con cui cerca di assimilare lunghe sequenze narrative di tratto confessionale e grazie alla sua peculiare attenzione per le figure mitiche che precipitano all’interno di una scrittura moderna.

Grazie alla rigorosa bellezza delle sue parole che “rendono universale l’esistenza individuale”, la Glück ha vinto anteriormente il “Premio Pulitzer” nel 1993, il “Premio Bollingen” nel 2001 e ancora il “National Book Award” nel 2014, ma nonostante il successo internazionale pochi in Italia conoscevano la sua arte.

“Averno” è l’unico volume che circolava nel nostro paese. Una raccolta, scoperta tra i vicoli e le braccia di Napoli, tradotta abilmente da Massimo Bacigalupo e prodotta ad opera della piccola casa editrice napoletana Dante&Descartes, di Raimondo Di Maio, quando i grandi editori ancora una volta si ritrovavano disattenti.

Napoli è stata un grande centro di distribuzione, un nodo centrale della stampa e dell’editoria: il libraio di via Mezzocannone, è un esempio; ha scelto di pubblicare prima di tutti le meravigliose pagine della Glück, facendosi trasportare con lungimiranza dall’istinto, dalla passione, dall’esperienza e soprattutto dal coraggio.

Averno, dal latino avèrnus: piccolo lago vulcanico a sedici chilometri a ovest di Napoli, che i Romani credevano fosse l’ingresso dell’oltretomba.

Il titolo della sua decima raccolta di poesie, è legato proprio a questo luogo/lago vicino Napoli, densissimo di storia e di mito, del quale si ricorda in esergo la condizione di soglia dell’inframondo. Ed è proprio un viaggio agli inferi – dell’animo – che ci propone l’Autrice. Averno è una riscrittura del mito di Proserpina, la figlia della dea Cerere, rapita dal dio Plutone che la trascinò con sé negli Inferi. Il legame tra l’opera della Glück e l’ambiente naturale di Napoli è forte. Louise non c’è mai stata, ma è come se conoscesse quel lago attraverso i viaggi nei classici greci e latini e ci stesse restituendo quella conoscenza attraverso il suo dialogo, le sue parole, la sua scrittura.

illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)
liberamente ispirata alla copertina del libro ‘Averno’ firmata da Vittorio Avella

Nella sua opera non troverete nemmeno una parola fuori posto o superflua, solo il pieno senso della forma e spazi bianchi che rappresentano un invito al lettore a respirare e ad inventare un luogo dove le parole riacquistano il loro vero peso, tante volte smentito. La poesia abita tutte le righe.

La Glück canta la solitudine e il timore per l’ignoto, la luminosità della notte, l’amore vero e il desiderio: sembra dirci, che anche quando tutto è spento, dobbiamo aggrapparci alle piccole cose/segni. La musica da una finestra aperta, una mattina di neve, il canto degli uccelli e il sole richiamano la bellezza del mondo ed è un invito alla vita.

Le sue poesie fanno da incastro tra archetipo e vicende personali, che combaciano perfettamente. La voce poetica di Averno potrebbe essere chiunque, tutti possono identificarsi. Averno è un libro di poesie profondamente femminile se per femminile intendiamo anche il principio della vita. È il libro di Proserpina, è metafora dell’inverno quello che prima o poi tutti visitiamo, il territorio dove si entra ragazza e si esce donna ferita eternamente.

I suoi versi sono la dimostrazione di quanto raccontare il dolore può alleviarlo. Lei non cerca di conquistare il lettore ma a voce bassa recita parole scarne di sopravvivenza. Spetta al lettore decidere se il suo dolore è affine a quello raccontato per fermarsi e mettere al microscopio diversi momenti della vita.

La vita sembra non essere mai all’altezza dei sogni, così bisogna raccontare il dolore, attraversarlo e viverlo.

Telescopio

C’è un momento dopo che togli l’occhio

che dimentichi dove sei

perché hai vissuto, sembra,

da un’altra parte, nel silenzio del cielo notturno.

Hai smesso di essere qui nel mondo.

Sei in un luogo diverso,

un luogo dove la vita umana non ha significato.

Non sei una creatura in un corpo.

Esisti come esistono le stelle,

partecipando alla loro immobilità, alla loro immensità.

Poi sei di nuovo nel mondo.

Di notte, su una collina fredda,

smontando il telescopio.

Ti rendi conto dopo

non che l’immagine è falsa

ma la relazione è falsa.

Vedi di nuovo quanto lontana

ogni cosa è da ogni altra cosa.

Loredana Zampano

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