L’ultimo giorno dell’anno non è nient’altro che la stazione d’arrivo di 365 giorni di viaggio. In 24 ore ognuno traccia un resoconto delle tappe toccate lungo il percorso, scende per qualche ora dal treno e poi risale con la propria valigia di “buoni propositi” per il nuovo itinerario. Ci sarà chi, per necessità o per scelta, sarà costretto a cambiare binario e chi invece ormai occupa quel posticino nel solito vagone che per comodità, o a volte per pigrizia, non vuole lasciare.
Il 2021 tra qualche ora arriverà a destinazione carico di speranze mai realizzate, delusioni materializzate, gioie manifestate e sogni concretizzati; insomma, scaricherà tutta la mole di roba che i passeggeri hanno portato con sé.
Su questo treno eravamo saliti in un certo numero, sicuramente maggiore rispetto a quanti oggi potremo dire di essere scesi. A pensarci bene è naturale che avvenga ciò; ad ogni stazione toccata c’è sempre chi scende e chi sale. Magari qualcuno ha perso un proprio caro, disperandosi perché ha deciso di non proseguire la strada e l’ha visto fermarsi in una “città” che in fin dei conti può essere paradossalmente l’ideale per vivere. Qualcun altro, invece, sicuramente avrà visto salire un volto lì per lì estraneo, facendo il tifo perché quell’ospite scendesse il più presto possibile o quantomeno non occupasse il posto vicino. E chissà, con tutta probabilità oggi si fermeranno un attimo, per poi proseguire ancora insieme, nuovi amici.
Quanti volti, quante storie si possono scorgere tra le carrozze. Non mi riesce difficile rintracciare le espressioni visibilmente fiere di una donna ed un uomo di etnie differenti, ma accomunati da un riconoscimento che trattengono tra le mani. Incuriosito mi avvicino ai due e vengo a conoscenza dei loro nomi e del loro lavoro. La donna si chiama Maria Ressa, è filippina e dirige un sito d’informazione chiamato “Rappler”. Lui invece si chiama Dmitry Muratov, è russo ed è il caporedattore del quotidiano “Novaya Gazeta”. Entrambi sono ciò che mi piace definire “cacciatori di libertà”. La signora Ressa, attraverso la sua penna e quella dei propri collaboratori denuncia il comportamento poco ortodosso del presidente filippino Duterte, principalmente rispetto alla sua strategia di “guerra alla droga”. Lo stesso premier ha definito la giornalista “una criminale”, emanando negli anni verso di lei una sfilza di mandati di cattura. Muratov, invece, col suo staff simboleggia un baluardo di democrazia in Russia. Nel 1990, si pensi che Michael Gorbaciov, ultimo leader sovietico, donò una cospicua somma per finanziare l’attività della Gazeta. A distanza di anni, il signor Muratov è stato insignito del premio Nobel per la Pace assieme proprio alla Ressa. Ambedue hanno dimostrato piena coscienza della propria “missione” e giorno dopo giorno affermano con i fatti che il giornalismo, se deve essere realmente utile, lo si può fare in un solo modo: raccontando la verità sempre e comunque, senza piegarsi a logiche clientelistiche.
L’”acqua inquinata”, espressione cara ad un illustre passeggero sceso da un po’ di tempo quale Enzo Biagi, non è mai arrivata nelle case dei lettori di Rappler e di Novaya Gazeta. Fedeli al concetto “etico” di giornalismo, i vincitori del rinomato premio possono legittimamente camminare a testa alta ogni giorno, saldi al loro posto per tutto il lungo viaggio della vita. Se poi qualcuno con la forza deciderà di farli scendere perché considerati “ospiti indesiderati” cosa succederà? Professionisti di questa caratura sanno bene che il segno lasciato è indelebile e, nel caso un giorno si alzeranno dal proprio posto, è altamente probabile che chi ha percorso una lunga tratta insieme a loro sceglierà di occupare quegli stessi posti con uguale peso specifico.
Di giornalisti assetati di libertà ce ne sono stati tanti. Sul treno 2021 pensate però che ben 39 di essi sono dovuti scendere in anticipo e altri 350 relegati chissà dove. Il motivo? Volevano semplicemente svolgere il proprio lavoro.
Hanno lasciato un vuoto importante, lo si avverte tra gli scompartimenti. Ma mi piace pensare che quanti hanno interrotto il cammino ora si sono ritrovati a camminare da tutt’altra parte insieme ai loro simili. Mi piace pensare, e ne sono convinto, che tutti coloro i quali sono accomunati dalla voglia e dal coraggio di fare saranno guidati dalla stessa forza delle idee di predecessori così nobili d’animo.
Lo confesso, è questo il mio “buon proposito” per il nuovo anno, la mia speranza, la mia certezza. E, guardando negli occhi ragazzi come me, saliti da febbraio in poi sempre più numerosi, sempre più volenterosi nella mia stessa carrozza, mi considero pronto tra poche ore a risalire sul treno, quello nuovo chiamato 2022 ma che partirà sempre dallo stesso binario dove ha fatto capolinea il precedente.
Ripartirò insieme a Carmela, Dario, Ilaria, Miki, Ida, Alessandro, Anna Chiara, Antonio, Carmen, Chiara, Claudia, Diana, Federica, Giusy, Isabella, Isabella, Loredana, Martina, Martina e Rosanna con il carico sufficiente di obiettivi e la sana incoscienza che può farci toccare lidi ancora sconosciuti. Il mio augurio per l’anno che verrà è rivolto a noi, cacciatori di libertà; a noi che abbiamo ancora tanta strada da percorrere insieme, magari incontrando qualcun altro che abbia la nostra stessa ambizione, il nostro stesso fine. A noi che finché ci sarà da raccontare, da scoprire, da criticare e da proporre saremo ogni fine anno lì, come oggi, in prossimità della “linea gialla” del solito binario della solita stazione ad aspettare il treno che sta per arrivare.
Felice Marcantonio
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