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Settembre, tempo di (ri)partenze più o meno dure e a volte false. Ci lasciamo, come d’abitudine, alle spalle un’estate di relax che sotto certi aspetti si è trasformato in un torpore preoccupante.

Il riferimento, ovviamente, non è a coloro i quali hanno potuto permettersi un meritato periodo di pausa lontano dallo stress quotidiano, quanto a chi la parola “vacanza”, per ruolo e titoli vari, dovrebbe cancellarla dal proprio vocabolario.

Senza troppe allusioni tiriamo così in causa la classe politica che ha chiuso baracca e burattini per alcune settimane per la canonica e “meritata” pausa d’agosto, accantonando per un po’ problemi e temi da affrontare ed attribuendosi la dote soprannaturale di calmare le acque almeno per quindici giorni.

Come il più classico studente che rimanda e rimanda ancora il solito ed ostico esame, governo ed opposizioni hanno rinviato tutto a settembre, magari augurandosi che il mese tanto temuto sarebbe arrivato il più tardi possibile. Fatto sta che, come è naturale che sia, tutto arriva.

In questi primi giorni di ritorno alla normalità la scena è stata occupata quasi interamente da pettegolezzi in formato soap opera, col risultato di un ministro dimessosi ed una collaboratrice (o presunta tale) divenuta il volto televisivo per eccellenza. Al contempo un altro ministro sta per accomodarsi su una poltrona a Bruxelles, evidentemente più comoda, senz’altro meno onerosa in termini d’impegno e di preoccupazioni, direttamente “donate”, queste ultime, ai tanti lavoratori (meridionali soprattutto) che dopo essersi sentiti dire che il Pnrr avrebbe rappresentato la medicina più efficace per risolvere tutti i mali, ora constatano amaramente che nessuno (ma proprio NESSUNO) dello staff di Giorgia Meloni si è accorto che bisogna trovare in fretta una nuova figura che possa amministrare, sapientemente si spera, i soldi provenienti dall’Unione Europea o quantomeno che sappia raccontare altrettanto bene la favola.

Ecco quindi palesarsi, attraverso le due vicende descritte pocanzi, il surrealismo che spesso, purtroppo, invade la storia politica del nostro Paese. Rammarica, inoltre, constatare ancora una volta l’uso strumentale della stampa e dalla televisione pubblica, oltre che l’impotenza del giornalismo dinanzi ai capricci dei cacciatori di pubblicità di turno.

Rattrista, poi, il gioco infantile in essere per costituire la famosa “alternativa”, quel campo largo che per la smania di espandersi a dismisura rischia di implodere piuttosto in fretta in nome di veti anacronistici e stupidi. Fa molto male pensare che tra pochi giorni ragazzi e ragazze di etnia diversa ma racchiusi dallo stesso stivale non saranno trattati allo stesso modo tornando tra i banchi di scuola da un esecutivo intollerante che contempla ancora italiani “di Serie A” e di “Serie B”, traduzione edulcorata delle “teoria della razza” che rimanda a pagine buie di una storia non tanto passata.

Sconforta ammettere che, anche quest’anno, in fondo la (ri)partenza sarà un dovere di pochi, soliti e diligenti cittadini. Gli stessi che meriterebbero quantomeno politici in grado di abbandonare la propria perenne “vita in vacanza”.

Felice Marcantonio

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