Lo scorso mese si è posta molta attenzione sulla fine della relazione tra Giorgia Meloni e l’ex compagno Andrea Giambruno, a seguito della diffusione da parte di Striscia la notizia di alcuni fuorionda della sua trasmissione. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica dovrebbe concentrarsi maggiormente sul contenuto di quei fuorionda, anziché sulla vita privata della coppia.
Le molestie di Giambruno
Giambruno, già in passato oggetto di discussione per le sue affermazioni sulla violenza di genere, si ritiene vittima di continui raggiri.
Ma i due video mandati in onda parlano chiaro. Un uomo, ignaro di essere ripreso, che dalla sua posizione di potere si pone in maniera totalmente inappropriata dinanzi ad alcune colleghe, sue sottoposte, rivolgendo loro allusioni a sfondo sessuale e toccando ripetutamente sue parti intime a mo’ di invito.
“Tu sei fidanzata? Sei “aperturista”? Come ti chiami? Ma ci siamo già conosciuti io e te?” / “Posso toccarmi il pacco mentre ti parlo?”, o ancora “lo sai che io e … abbiamo una tresca? Lo sa tutta Mediaset, adesso lo sai anche tu. Però stiamo cercando anche una terza partecipante, facciamo le threesome”.
Battute travestite da apprezzamenti, domande insistenti ed ossessive: quella di Giambruno non può che essere considerata una vera e propria molestia sessuale sul luogo di lavoro.
E se il conduttore in questione non si è posto alcun problema pur essendo sotto stretta osservazione, non è difficile immaginare cosa accade dove nessuno ascolta.
Non un caso isolato
Quello su cui i media dovrebbero concentrarsi è che questo genere di situazioni si ripropone di continuo.
Secondo un’indagine svolta dalla Commissione Pari Opportunità del FNSI, il sindacato dei giornalisti, circa l’85% delle giornaliste italiane ha dichiarato di aver subito molestie sessuali almeno una volta, la maggioranza delle quali proprio verbali. Commenti sui vestiti o su parti del corpo, nomignoli a sfondo sessuale, messaggi con avance. Quelle che per molti colleghi maschi sono, invece, “solo battute”.
Come la pacca sul sedere alla giornalista Greta Beccaglia da parte di un tifoso, al termine della partita Empoli-Fiorentina nel novembre 2021, era stata definita solo una burla, una cosa da niente, ma che invece è stata punita come violenza sessuale, con 1 anno e 6 mesi di reclusione.
Inoltre, in tre casi su quattro, le molestie si sarebbero verificate anche all’interno dello studio di redazione, alla presenza di altri colleghi. Un dato davvero sconcertante che dimostra come vi sia una vera e propria normalizzazione e minimizzazione di questi atteggiamenti. Un problema culturale ormai insito all’interno del contesto professionale italiano.
Questa dinamica investe tutti gli ambiti lavorativi. L’ultima indagine Istat, condotta su un campione ben più ampio e variegato di lavoratrici, risale al 2018: questo rileva quanta poca attenzione ci sia sul tema. Il dato racconta di quasi un milione e mezzo di donne tra i 15 e i 65 anni messe a disagio da comportamenti inadatti da parte di un collega o di un superiore. Rappresentano circa il 9% delle lavoratrici.
Il 7,5% delle donne ha subito un ricatto sessuale per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera.
Meno dell’1 per cento denuncia. Molte decidono di sopportare in silenzio o, al massimo, sono loro a decidere di allontanarsi dal luogo di lavoro. Ribellarsi a una situazione simile non è semplice come si può pensare.
Il report della fondazione Libellula
La Fondazione Libellula, impresa Sociale nata nel febbraio 2020, ha lo scopo di agire su un piano culturale per prevenire e contrastare la violenza e la discriminazione di genere.
“Le molestie sul lavoro sono un sommerso ancora spesso negato, normalizzato, non compreso” – dichiara la Presidente Debora Moretti. “Le donne che le subiscono non sanno sempre come fronteggiare la situazione data la sua complessità. La formazione al riconoscimento è fondamentale”.
I dati pubblicati dalla Fondazione sono altamente prevedibili. Emerge chiaramente una diversa percezione di comportamenti tra i generi, con le ragazze tendenzialmente più in grado di riconoscere le manifestazioni di violenza rispetto ai ragazzi. Siamo in un Paese che non si preoccupa della salute sessuale dei giovani, non tutela le vittime e che considera le molestie solo un “gioco”.
È fondamentale, pertanto, intraprendere la strada di una continua educazione e sensibilizzazione.
Ed è questo l’obiettivo di Fondazione Libellula che è all’opera per portare nei luoghi di lavoro progetti e attività come workshop o seminari dedicati a collaboratori e collaboratrici su stereotipi, linguaggio e managerialità inclusiva, percorsi dedicati alla prevenzione al contrasto delle molestie, sportelli di ascolto psicologico per tutte le aziende che ne fanno richiesta.
“Un’azienda che si dimostra attenta e coinvolta sul tema della violenza non solo incoraggerà un clima di dialogo e confronto, ma farà prevenzione e diffonderà al suo interno consapevolezza” spiega Debora Moretti. “Il nostro obiettivo come Fondazione è quello di creare un modello virtuoso e portarlo in tutte le aziende in modo da generare ambienti professionali non discriminatori”.
Chiara Vitone
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