Tra poche ore, Napoli festeggerà il patrono san Gennaro, che per i napoletani più che un santo è un amico, un confidente.
Prendendo spunto da questo, ho deciso per l’occasione di riportare un mio monologo, se così lo possiamo definire molto amatorialmente, scritto in pieno lockdown, che riflette su un problema che da Napoli può essere esteso in senso lato a tutto il Sud Italia.
Cosiccome i napoletani operano una certa forma di discriminazione tra di loro, a seconda che si abiti in una parte o in un’altra della città, così noi tutti meridionali tendiamo a discriminare, passatemi il termine, il nostro vicino.
Il mio desiderio che sento di confidare a san Gennaro è allora quello di vedere finalmente un sodalizio forte tra tutta la gente meridionale, senza farci la guerra a vicenda.
Lo so, di lavoro san Gennaro ne dovrà fare per esaudire questa mia preghiera! Intanto da “amico” mi sono confidato.
Per il resto… san Gennà, pienzace tu!
Napule è!
Bastano questo nome e questo verbo per definire il “mondo” Napoli.
Napoli non è una città, è uno Stato.
Napoli ha una sua lingua, non un dialetto.
Napoli è la città più bella del mondo; mare, storia si uniscono qui come in nessun’altra parte del mondo.
La Napoli che guarda sè stessa allo specchio, però, non è la stessa vista dai turisti.
Tra i suoi quartieri esiste una sorta di rivalità, a volte vera e propria ostilità, che si avverte solo se la vivi, Napoli.
La città, pardon, il mondo è diviso in due. E ciò non solo studiando la sua piantina.
C’è la parte bassa, il centro storico potremmo dire in senso lato, vero cuore di Napoli. Qui c’è l’anima verace, autentica della città. Ah! Scusate, del mondo.
Si parte da San Gregorio Armeno, via dei presepi, passando per piazza del Gesù e San Biagio dei Librai, dove l’artigianato è declinato in tutte le sue forme, e si arriva a piazza Duomo, con la cattedrale che conserva il protettore San Gennaro.
In queste viuzze, quasi ” corridoi di vita”, lo schiamazzo dei bambini, chiamati “scugnizzi”, porta subito allegria.
Tagliando idealmente in due la città, pardon, il mondo, si risale sulla collina chiamata Posillipo, confinante col quartiere “schick ” di Napoli, il Vomero.
Qui si apre davanti agli occhi un’altra città, pardon, un altro mondo.
Questo non solo perché si passa dalla meraviglia di palazzi e chiese storiche ad un panorama “marino”, ammirabile dalla famosa “terrazza” di Posillipo.
A cambiare, per chi vive Napoli, è soprattutto il costume.
Qui la gente sembra aver perso un po’ la sua ” napoletanità “. O meglio la napoletanità qui si raffina, fino a distaccarsi dal meraviglioso mondo originario, guardato con superiore distacco proprio dall’alto della collina.
I bambini qui sono definiti un po’ in senso dispregiativo ” chiattelle”.
Fa un po’ sorridere in effetti questo appellativo. Del resto, Napoli è la patria dell’ironia.
Esiste ,dunque, una Napoli che ha costruito un’immagine più nobile di sé, più pulita, da signori, e una Napoli Napoli ancorata alle sue origini e fiera delle stesse.
Chi vive Napoli sa’ tutto questo. Sa’ di questa sorta di discriminazione a tratti reciproca, a tratti unilaterale e guarda tutta la città, pardon, il mondo con una vena di malinconia sfumata dalla rabbia.
Rabbia perché Napoli non può essere due. Napoli è una e adda essere una!
“Napule è mille culure”, diceva Pino Daniele.
Che grande verità! Ma Napoli deve essere mille colori in uno! Napoli adda essere un arcobaleno meraviglioso che parte dal centro storico, risale la collina e arriva fino a Posillipo.
Napoli ha molte vedute panoramiche, tutte bellissime. Ma la più bella è quella che si può ammirare da Castel Sant’Elmo che sovrasta dall’alto questo poliedrico mondo.
Il perché è facile da spiegare. Da lì si vede tutta Napoli, una e unita… come adda essere!
Un giorno mi piacerebbe chiedere ad un napoletano del Rione Sanità: ” Cos’è Napoli per te?” e ricevere da lui questa risposta: ” Napule è!”.
Poi mi piacerebbe rivolgere la stessa domanda ad un napoletano di Posillipo e sentirmi rispondere anche da lui:
” Napule è!”.
Felice Marcantonio
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