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illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

In memoria di Salvador Allende

“È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.”

(Salvador Allende, ultimo discorso alla radio)

Queste le ultime parole che Salvador Allende disse alla radio poche ore prima della sua scomparsa, una scomparsa che, quell’11 settembre del 1973, scioccò il mondo intero.
Data emblematica, anche se ancor più emblematica fu la morte del presidente Allende, 29° Presidente del Cile, primo presidente marxista eletto democraticamente in un continente e, più in generale, in un mondo, spesso timoroso e refrattario nei confronti di chi professa ideali rivoluzionari.

Rivoluzionario non violento, proprio quella notte imbracciò per la prima e l’ultima volta un fucile, lo stesso con il quale, sulle orme di un antico stoico, preferì suicidarsi con una pallottola in testa pur di non cadere nelle mani dei golpisti e, in particolare, del suo rivale Pinochet. Aveva 65 anni.

Ma chi è stato Salvador Allende?

Medico, politico e convinto marxista, Allende studia, si laurea e partecipa subito alla vita politica cilena, e nel frattempo esercita, per diversi anni, la professione di medico; fonda il Partito Socialista Cileno, diventa Presidente del Senato e ministro della sanità.

In un clima storico particolarmente delicato la strada per Salvador non è molto semplice da percorrere; impiega anni per far conoscere e apprezzare le sue doti non solo dal popolo, ma anche dal resto del mondo. Egli infatti crede che così il Cile possa uscire dall’isolamento internazionale.

Una volta al governo si preoccupa di concentrarsi su riforme agrarie, bancarie e soprattutto sul capitale straniero, in particolar modo quello statunitense, concentrato in gran parte nel settore minerario.

Allende vuole portare il Cile verso il socialismo, ma molte sono le critiche rivoltegli su questo poichè si sospetta che voglia creare una sorta di regime comunista, e per tale motivo nel paese le tensioni aumentano.

Se da un lato aumenta il patrimonio dei ricchi, dall’altro ridistribuisce le ricchezze tra i vari strati della popolazione.

Il 1973 è un anno particolarmente difficile per il paese a causa dell’alto tasso di inflazione e della mancanza di materie prime che esasperano la popolazione.

Ma la situazione peggiora proprio l’11 settembre, quando i militari golpisti guidati dai generali Palacios e Pinochet assaltano e bombardano il Palazzo della Moneda, sede del presidente, il quale decide di non fuggire e di restare saldamente al suo posto finché non decide di porre fine alla sua vita con un colpo di fucile.

Gli omaggi alla memoria di Allende

“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento.”

Questo è parte dell’ultimo discorso radiofonico che Salvador Allende ha tenuto l’11 settembre poco prima di morire. Sono parole di rivalsa, di speranza, di fiducia verso il futuro e verso gli uomini, sono parole rassegnate ma allo stesso tempo invocano la libertà e volontà di trasmettere valori positivi in un mondo che, di positività, aveva e ha ben poco.

Queste parole servono a capire lo sgomento che ha invaso il popolo cileno al momento della morte di Salvador Allende, sentimento condiviso da più popoli che vedevano in Allende, oltre alla figura controversa a livello politico, un uomo in cui credere per un mondo senza la vigliaccheria, la codardia e il tradimento.

Anche in Italia la notizia della sua morte ha colpito più persone, tanto da essere ricordato in tutti i modi anche attraverso una canzone dei Nomadi: Salvador (15 anni dopo).

“Salvador era un uomo, vissuto da uomo
Morto da uomo con un fucile in mano
Nelle caserme i generali brindavano alla vittoria
Con bicchieri colmi di sangue di un popolo in catene”

La reiterazione della parola uomo inserita nel ciclo della vita, è un espediente che serve a ribadire con forza come Salvador fosse un uomo comune e, in quanto tale, morto con il fucile in mano durante un colpo di stato in cui le ribelli forze dell’ordine festeggiavano bevendo il sangue di un popolo ormai prigioniero. Con la morte di Allende avevano ucciso anche i cileni.

“Da un cielo grigio di piombo
Piovevano lacrime di rame
Il Cile piangeva disperato
La sua libertà perduta”

Quindi, uccidere Salvador Allende ha significato uccidere i cileni perchè nessun popolo prigioniero può dire di esser vivo.
Questo sentimento di dolore e di perdita viene raccontata, piuttosto che cantata, dai Nomadi attraverso una leggera ma sofferente voce.

Dario del Viscio

Isabella Cassetti

Giusy Pannone

La via cilena al socialismo: https://g.co/kgs/eQvJsm

One response

  1. Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica. Salvador Allende – E voi che siete giovani non arrendetevi….., siete voi ad avere in pugno la torcia di fuoco che illumina la LIBERTÀ.

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