A 40 anni di distanza la magia di quella Nazionale di calcio resta intatta
11 luglio 1982. Basta pronunciare questa data a qualsiasi italiano per capire che non fu un giorno come gli altri.
Il palcoscenico era lo stadio Santiago Bernabeu di Madrid. In campo la Nazionale di calcio azzurra contro la Germania Ovest. In palio la Coppa del Mondo.
Già a dirla così verrebbe spiegato il motivo per il quale inevitabilmente quel giorno sarebbe passato alla storia. Italia-Germania non era una semplice partita di calcio, come non lo è neppure adesso. Su un rettangolo verde si affrontavano due culture completamente diverse che per necessità storica si erano incontrate già da decenni, prima a causa dei deliri totalitari di Hitler e Mussolini, poi, nel dopoguerra, quando soprattutto dal nostro Sud i nostri nonni e bisnonni partivano proprio verso le città tedesche, in cerca di un presente che potesse dare un futuro ai nostri genitori e, di conseguenza, a noi oggi. Vista così, Italia-Germania diventava l’occasione per noi “popolo” di ribellarci al “potere” e di prenderlo, di sentirci noi “signori”, almeno per una notte.
E quella notte, di fatti, sul tetto del mondo ci salimmo noi italiani. Non solo i giocatori, quelli che per tutti divennero “gli eroi dell’82”, non solo il mitico mister Bearzot passarono nel club esclusivo degli immortali. Ma ad essere costellato da un’aureola di eternità beata fu un Paese intero. Da Trieste a Palermo tutta l’Italia si riscopriva vincente, più di tutti gli altri. Alla testa di questa sfilata ideale c’era il presidente partigiano Sandro Pertini, colui che dopo il terzo gol azzurro, voltandosi verso il Re di Spagna, liberò tutto il folklore italico dicendo con gesti e parole: “Non ci prendono più“. In effetti no, la Germania ormai non ci avrebbe raggiunti. L’Italia si apprestava a salire i gradini che portano alla gloria.
C’è da dire, però, che come in ogni parabola mitica, la curva non è stata sempre costantemente proiettata verso l’alto. Il cammino che ha portato la voce storica di Nando Martellini a ripetere per tre volte “Campioni del Mondo” (https://www.youtube.com/watch?v=I6xxKqjoX7w) è stato impervio. All’inizio nessuno avrebbe scommesso una lira sul fatto che “l’Armata Brancazot”, come ironizzavano i giornali, sarebbe stata capace di mettere in fila le nazionali più forti del Pianeta, le quali non hanno potuto far altro che godersi la festa tricolore.
Il primo girone eliminatorio, contro avversarie più che modeste, l’Italia lo superò per il rotto della cuffia. Quando poi la sorte ci mise davanti Argentina e Brasile, beh, la rassegnazione era di casa. Ma i miracoli, che mai accadono ma si costruiscono, sono sempre dietro l’angolo. E fu così che guidati da “Pablito” Rossi, gli azzurri si sbarazzarono di Maradona e compagni prima e della compagine verde oro poi. In pochi giorni facemmo fuori i campioni in carica e i favoriti assoluti per la vittoria di quell’edizione.
Nel nostro Paese, raccontano le cronache, lo scetticismo faceva ora spazio all’esaltazione tipica dei tifosi “cronici”. I “brocchi” erano diventanti fenomeni, come per magia. In realtà quella Nazionale aveva un potenziale e una maturità che nessuno era riuscito a captare fino a quando gli “squadroni” per eccellenza non vennero mandati a casa. Fino ad Italia-Argentina la Nazionale era la sola a credere in un bellissimo sogno diventato realtà.
Noi italiani, a volte troppo miopi, non abbiamo avuto la lungimiranza necessaria per capire che nel giro di un mese le nostre vite sarebbero cambiate. Qualcuno penserà che sia un’esagerazione questa affermazione; il calcio resta pur sempre “solo” uno sport. Beh, in questo caso non è così.
L’11 luglio 1982 è la data d’inizio di una nuova storia per l’Italia. Non solo dal punto di vista calcistico, ma anche e soprattutto culturale. Dopo anni difficili, non a caso definiti “di piombo”, per il nostro Paese era il tempo di una rinascita che è partita dal calcio, la religione laica per eccellenza e che avrebbe avvolto un’intera generazione che ancora oggi ricorda, non senza un pizzico di nostalgia, i “mitici” anni ’80.
In quell’urlo di Marco Tardelli accompagnato da una corsa all’impazzata c’è tutto il senso di cosa è ancora oggi per ogni italiano il Mundial ’82. In quel gesto c’è l’Italia che gridava la propria esistenza al mondo, un’Italia orgogliosa, che non si arrende mai, l’Italia della gente.
Un Paese che sui suoi problemi ci gioca su, esattamente come il presidente Pertini, mister Bearzot, Franco Causio e capitan Dino Zoff, i quali sul volo di ritorno che riportava gli eroi a Roma vennero immortalati mentre disputavano una partita a carte. Ah, su quel tavolino, relegato ai margini, c’era un oggetto chiamato Coppa del Mondo, un particolare non da poco! Istantanee tra le mille che sfumarono d’oro quell’estate tutta azzurra.
Per tutti coloro che non hanno avuto il privilegio di vivere quel Mondiale di calcio (sottoscritto compreso), l’invito è di farsi raccontare da chi ha qualche capello bianco in più cos’è stato e cosa sarà sempre per l’Italia quell’ 11 luglio 1982.
Felice Marcantonio
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Non vorrei annoiare nessuno con i miei commenti, ma questo articolo mi ricordo la mia adolescenza e non posso evitare di commentare. Avevo 11 anni, contro il mio volere, la famiglia doveva presenziare ad un matrimonio, mi è rimasto impresso la velocità di quella cerimonia, andavamo tutti di fretta, sposi compresi. Un appuntamento dove nessuno poteva arrivare tardi, al ritorno verso le 20:00 tutti gli italiani correvano a casa per assistere alla partita, la nazione Italia era pronta, la squadra di calcio Italia era pronta. Un mondiale iniziato tra mille difficoltà, gli esperti di calcio – bar, si affollavano per criticare, per stilare la squadra perfetta, tutti allenatori di tutto e di tutti. Poi le vittorie con Argentina e Brasile, tutti avevano indovinato le formazioni, tutti sapevano che Paolo Rossi, sarebbe diventato Pablito, il vero goleador. Poi la finale vinta, rappresentata dall’urlo di Tardelli in campo e dalla pipa di Pertini in tribuna. Era la vittoria della riconoscenza, della consapevolezza, del riscatto, di un popolo che si mostrava al mondo, mostrava la sua identità. Per noi campani che avevamo vissuto il terremoto pochi mesi prima, era lo sfogo, le urla di chi aveva visto la morte in faccia e quel giorno poteva urlare di gioia. I caroselli in paese, i carri, le sfilate, i clacson, la gioia…….di un bambino che era scappato di casa per correre a festeggiare ed urlare 10, 100, 1000 volte, CAMPIONI DEL MONDO. Grazie, grazie, grazie.