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Illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

70 anni fa nasceva l’intramontabile “freccia del Sud”

Spesso immaginiamo i miti come degli esseri che non hanno la minima parvenza umana. Se così fosse, non sarebbero miti. Eppure, a volte, analizzando a fondo una storia, possiamo accorgerci che il mito è il nostro “vicino di casa” e, magari, si chiama Pietro Mennea.

Origine del mito “Pietro Mennea

Colui che sarebbe diventato l’uomo più veloce del mondo, nasce il 28 giugno 1952 a Barletta, in Puglia. Ci anticipiamo nel festeggiarlo perché altrimenti ci avrebbe battuto sicuramente lui sul tempo.

Terzo di cinque figli, fu subito educato alla cultura del sacrificio, unica “religione” praticata in quegli anni nella “periferia” d’Italia, quel Sud fatto di silenzi e di rassegnazione. Sarà forse perché nacque proprio in un contesto così difficile, Mennea conserverà sempre nel suo carattere una certa ritrosia. Il che non vuol dire che fosse un “musone”, al contrario. Pietro Paolo (suo nome completo) si apriva al mondo con le sue braccia divenute un simbolo per intere generazioni di ragazzi sognanti, ma concedeva l’ingresso nel suo intimo davvero a pochi.

Il padre era sarto, la madre casalinga. Non fu un’infanzia spensierata quella di Pietro, non se la poteva permettere. “Non avevamo niente e volevamo tutto”, dirà Mennea in occasione di un’intervista rilasciata per i suoi 60 anni. Questa caparbietà, unita ad una buona dose di rabbia (per sua stessa ammissione), ha piantato i semi di un percorso che sarebbe rimasto nella leggenda.

Da qui nasce una storia che ancora oggi è un modello di vita nel senso più compiuto del termine.

Dalle corse “clandestine” ai primi importanti traguardi sportivi

Il Pietro divenuto adolescente inizia a cercare spazi e contesti di evasione. Quale miglior modo per scappare se non correre? Decide pertanto di improvvisare allenamenti compiendo giri su giri attorno alla cattedrale della sua città. Conscio che in fondo non se la cava poi tanto male, si iscrive a corse notturne clandestine concorrendo contro i suoi primi avversari: le automobili. Non di rado, il giovane Pietro dà una bella lezione a qualche legge della fisica!

Certo, un talento di questa portata non poteva restare in incognito. In un contesto storico piuttosto particolare (parliamo delle rivolte del ’68 e, più avanti, degli attentati terroristici), Mennea trova il modo di non deviare la rotta verso lidi infelici incontrando il prof. di Educazione Fisica Autorino. Sarà questi una delle figure decisive nella formazione tanto dell’atleta quanto dell’uomo che il ragazzo gracilino barlettano diventerà.

Duro lavoro e sacrificio diventano il “rosario” che Mennea reciterà ogni giorno, non importa se sia festa o meno. Si allena anche in solitaria Pietro, per molte ore, con l’obiettivo ben stampato nella mente: diventare Pietro Mennea, più “nero” di Cassius Clay.

L’esordio in una gara ufficiale arriva in occasione degli Europei del 1971. Nella gara individuale Mennea arriva sesto, mentre nella staffetta conquista la sua prima medaglia: un bronzo. Alle Olimpiadi di Monaco ’72, poi, il ragazzo dà dimostrazione di crescere piuttosto in fretta arrivando terzo nei 200 metri, dietro all’idolo di sempre, Borzov. Due anni dopo, davanti al suo pubblico, quello italiano, si consacra: argento nella staffetta e nei 100 metri, ancora dietro a Borzov e, soprattutto, oro nei 200, quella che diventerà la sua specialità, o forse lo era già diventata.

Pietro Mennea diventa leggenda

Dietro i grandi successi ci sono sempre grandi fallimenti. Così è stato anche per Pietro Mennea. Dopo aver sbancato a Roma, costringendo anche la stampa, solitamente scettica nei suoi confronti, a parlare delle sue gesta, Pietro vorrebbe disertare le Olimpiadi di Montreal. Gli sponsor non glielo permettono. Partecipa quindi, ma poiché le cose belle non arrivano a comando, Mennea non prenderà alcuna medaglia in quell’occasione.

Ricarica allora le batterie, fisiche e mentali, vincendo ancora nei 200 metri a Praga. Preludio, questo, a Messico 1979. Qui si disputano le Universiadi, una sorta di Giochi Olimpici per universitari. Perché sì, a dispetto del credo comune “sportivo=ignorante”, Pietro Mennea era anche uno studente brillante.

Torniamo alla gara di quel giorno entrato nella storia; il cielo era nuvoloso, il nostro italiano partiva dalla corsia 4, centrale. Gli organizzatori della gara gli avevano nel frattempo storpiato il nome e cambiato la nazionalità. La partenza è la solita per Mennea: arranca per poi andare in progressione sul finale e battere uno per uno i suoi avversari. Alza, come al solito, le braccia al cielo con la bocca aperta per prendere un po’ d’ossigeno. Il pubblico dà uno sguardo al cronometro. Si è fermato a 19 secondi e 72 centesimi! Tradotto: è record del mondo. In una gara “di nicchia” è successo l’incredibile. Quel ragazzo “magro, storto e contorto” era diventato, a 27 anni, l’uomo più veloce del Pianeta. Superato così Tommie Smith, colui che col pugno alzato sul podio olimpico fece sgranare gli occhi ad un novellino Pietro anni prima. “Non mi accorsi di nulla”, rivelerà Mennea, “vedevo solo una massa di persone che mi veniva incontro per abbracciarmi“. Nella sua incredulità, nella naturalezza di un ragazzo umile e mai sazio, quel giorno lì il disegno divino concentrò lo straordinario. Pietro Mennea, da Barletta, diveniva il simbolo del riscatto meridionale, diveniva “la freccia del Sud”.

L’uomo oltre l’atleta: “l’altro” Mennea

Negli anni successivi, Pietro rivolgerà lo sguardo a nuovi traguardi. Del resto, la sua filosofia di vita gli imponeva, una volta raggiunto un obiettivo, di mettersi al lavoro per centrare il successivo. Una vita “di corsa” in tutti i sensi, insomma.

Le soddisfazioni sportive non si esauriscono a Città del Messico, visto che alle Olimpiadi di Mosca arriva l’ennesimo oro nei 200 metri. Poi, però, accanto allo sportivo, matura il Mennea cittadino, impegnato attivamente nella società. Prenderà quattro lauree, ricevendo una sorta di “battesimo politico” da un conterraneo d’eccezione come Aldo Moro.

Divenuto autore di libri, di professione commercialista e avvocato, Pietro Mennea ricoprirà la carica di deputato al Parlamento europeo dal 1999 al 2004. In questa sorta di spirito camaleontico si può notare la caratura del personaggio, il quale deciderà come sua ultima “missione” di vita di dedicarsi al sociale.

Nel 2006, infatti, assieme alla moglie, Manuela Oliveri, fa nascere la “Fondazione Pietro Mennea”, una onlus che, ancora in attività, si prefigge due obiettivi: promuovere la ricerca medico-scientifica e diffondere i sani valori dello sport. http://www.fondazionepietromennea.it/home.asp

L’eredità del mito

Quando una figura di così grande importanza abbandona questa terra, diventa difficile lì per lì accettare la sua mancanza.

Il Grande Ufficiale al merito della Repubblica, Pietro Mennea, ci lascia il 21 marzo 2013, a quasi 61 anni.

Da quel giorno, nessuno ha potuto più godere del suo volto grintoso e carico di speranza. Nessuno ha più avuto il piacere di poter riflettere con lui sulle questioni più scottanti del momento, lui che non aveva mai risparmiato polemiche al cosiddetto “sistema”.

Che fare senza Mennea?

Non se lo sarà chiesto soltanto la sua famiglia, dall’alto del legittimo diritto di “precedenza”, ma se lo sono domandato anche tutti coloro che, specie in questo tanto amato quanto amaro Meridione, cercano costantemente miti da emulare per cambiare un tracciato “corso naturale delle cose”.

Ebbene, la risposta va cercata in Mennea stesso, visto che quel triste giorno ha sì portato via il suo corpo, ma non le sue parole. “La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni”.

Questo diktat pronunciato dalla “Voce” del Sud per antonomasia risuona forte e più vivo che mai. Noi, ragazzi meridionali, siamo chiamati a sognare, soffrendo e faticando, ma correndo allo stesso tempo verso il traguardo. Qui, c’è da scommetterci, prima di riprendere la corsa troveremo un ragazzo gracilino, con le mani alzate al cielo, pronto ad abbracciarci o, magari, a tirarci qualche schiaffone se, tutt’un tratto ci mostreremo appagati.

Se quest’ultima evenienza dovesse assalirci, ricordiamoci sempre di queste immagini

Felice Marcantonio

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