“È inutile, non c’è più lavoro
non c’è più decoro
Dio o chi per lui
sta cercando di dividerci
di farci del male, di farci annegare
com’è profondo il mare”
Caro Lucio
Sembra passato un giorno, o anche solo poche ore da quando il telegiornale della sera annunciò la scomparsa improvvisa di uno dei più grandi artisti che la musica italiana abbia mai avuto, colui che, con il sorriso e la gentilezza di sempre, era stato in grado di travalicare i gusti e i movimenti che si erano avvicendati nel corso dell’ultimo Novecento: Lucio Dalla.
Molta gente, specialmente quella che lo ha conosciuto quando era ancora in vita, in modo molto informale e sicuramente meno legato alla professione che svolgeva, lo ricorda con affetto e amicizia, tra queste sicuramente la proprietaria del ristorante “L’Architiello” sull’Isola di San Nicola, nell’arcipelago delle Tremiti, luogo in cui il cantante possedeva una casa e dove si recava frequentemente. Proprio lì, in effetti è stato scritto l’album “Com’è profondo il mare”, o così si racconta; chi vi si reca e presta attenzione, si accorge presto che Lucio è ancora lì, ogni scorcio parla di lui e del suo mondo, lui è rimasto lì, tra gli scogli e le diomedee, gli albatri che vi dimorano, forse ora è proprio uno di loro, e nelle notti tempestose veglia il sepolcro del leggendario re di Argo che lì trovò l’ultimo approdo.
Ma chi è stato Lucio Dalla?
Di origine bolognese, Dalla nasce il 4 marzo del 1943 e alla sola età di 15 anni si trasferisce a Roma per studiare, ma ben presto si rende conto che la sua strada é la musica, nient’altro.
A diciassette anni é già in giro a suonare, sperimentando diversi generi musicali e imparando prima a suonare la fisarmonica, successivamente il pianoforte, il sassofono e il clarinetto diventando così un polistrumentista; fu un celebre rappresentante del genere soul, jazz,beat e pop. E’ stato apprezzato non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto è vero che la sua opera è stata tradotta in altre lingue.
È opportuno dividere la carriera musicale di Dalla in quattro periodi:
1962-1972: è il periodo jazz e delle partecipazioni sanremesi; canta al festival cinque volte durante la sua carriera portando brani che divennero da subito famosi, in particolar modo “Piazza Grande” considerata la canzone più commovente e che rappresenta la fine della sua prima fase artistica.
1973-1976: fase artistica che vede la collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi e la composizione di nuovi album.
1977-1996: è il culmine della sua maturità artistica.
Negli ultimi anni, infine, si può parlare, non a torto, di “fase pop”.
Nel suo vasto repertorio si annoverano diverse collaborazioni con cantautori di fama nazionale e internazionale come De Gregori, Morandi, Pavarotti, Ray Charles, e nel 1964 avvenne il suo debutto discografico con il brano “Lei (non è per me)”. Il patrimonio artistico del cantautore bolognese è molto variegato: ha prodotto ben 22 album in studio, diffusi anche all’estero, e 9 album dal vivo a partire da quello registrato a Bologna il 2 settembre 1975.
Fu particolarmente legato alla Puglia, sia perché sua madre, sarta, era di origini pugliesi, e sia perché quella terra rappresentava una sorta di “musa ispiratrice” per la sua arte, soprattutto le Isole Tremiti. Lo stesso definì, ad esempio, il Gargano come una terra selvaggia, ribelle, tra la natura e il mare azzurro e tra storie di sirene e pescatori, e amò tantissimo anche Napoli; compose Caruso, uno dei suoi più grandi capolavori, e uno dei suoi più grandi concerti fu proprio a Piazza Plebiscito, nel 1995. Dalla amò la bellezza della città dove il bene e il male quasi si confondono e tra le varie influenze è da annoverare Totò, per lui sicuramente un mito e una fonte di spunti per la costruzione del “personaggio”.
Sempre facendo riferimento al brano Caruso, fu un brano napoletano cantato in un periodo in cui tutti cantavano in inglese e fu un successo, cantato anche insieme a Pino Daniele.
È difficile considerare una canzone più bella dell’altra, poiché ogni canzone di è La Canzone, ovvero la migliore.
Attualissimo in ciò che scriveva, Dalla cantava parole che a riascoltarle sembrerebbero scritte in questo momento : “ Con la forza di un ricatto l’uomo diventò qualcuno, resuscitò anche i morti, spalancò prigioni, bloccò sei treni con relativi vagoni … innalzò per un attimo il povero ad un ruolo difficile da mantenere poi lo lasciò cadere a piangere e a urlare solo in mezzo al mare .. com’è profondo il mare “.
Se fossimo in un film e se Dalla fosse uno dei ruoli che lo interpretano potremmo dirgli: “però, cantautore e anche poeta!”
E, a proposito di poetica, vediamo più da vicino uno dei suoi capolavori maggiori:
Piazza Grande
Presentato al festival di Sanremo nel 1972, si classificò solo quarta, sfiorando il podio, divenendo tuttavia una delle più caratteristiche della storia del festival della canzone italiana. Il suo successo è dovuto al fatto che il ritornello esprime i bisogni di tutti gli uomini, bisogni non materiali ma necessari ed essenziali quali l’amore, i sogni e l’appartenenza ad un luogo da definire casa, anche se delle mura domestiche non ha nulla.
Quando si ascolta Piazza Grande, ci si immagina Lucio Dalla seduto su una panchina di Piazza Maggiore a Bologna mentre osserva chi gli sta intorno, proprio come fa il barbone protagonista del brano. Eppure, il pezzo non è stato scritto in queste circostanze ma, così come racconta Ron in un’intervista a Il fatto quotidiano, è stato pensato su un traghetto in mezzo al mare e quella piazza, che tutti associamo a Piazza maggiore, in realtà, potrebbe essere anche un’altra piazza della città bolognese.
Retoricamente, siamo davanti ad una sineddoche poiché la piazza rappresenta Bologna e, più in generale, tutto il mondo come una specie di moderna allegoria. La prima strofa è caratterizzata ripetute anastrofi, nonché da una mancata coesione fra soggetto e verbo (elemento comune in tutta la canzone) dovuta ad un’esigenza di creare un determinato tipo di ritmo che verte sull’assonanza della vocale “e”: me, ce n’è, a volte presenti nello stesso verso. Inoltre, vi è la presenza incessante di similitudini attraverso le quali Dalla non fa altro che aggiungere informazioni sul protagonista di questa storia, il barbone, che in prima persona, dichiara «ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è», e «meno male che briganti qui come me non ce n’è». Ma, privandosi della similitudine, ci si rende conto di come questi sia anche un innamorato poiché afferma «ho molti amici intorno a me, gli innamorati in Piazza Grande, dei loro guai, dei loro amori tutto so, sbagliati o no».
Attraverso quest’ultima antitesi, si vuole far emergere che nonostante «con me donne generose non ce n’è, rubo l’amore in Piazza Grande», e «una famiglia vera non ce l’ho», sorge spontanea una domanda: di chi o di cosa è innamorato il protagonista? La risposta si trova in uno dei versi più significativi di tutta la canzone: «ma la mia vita non la cambierò mai, mai». A conferma di ciò si ha in uno speciale di Vincenzo Mollica in cui erano ospiti lo stesso Dalla e Alda Merini. In questa circostanza, Dalla afferma «Evviva la vita», sebbene questa sia priva di amori certi, di una famiglia che sa amare. Questa solitudine non produce altra solitudine ma solo voglia d’amore e d’amare, infatti. «a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho». Siamo tutti un po’ Dalla, siamo tutti un po’ il barbone di Piazza Grande che, come un brigante, ruba l’amore ma non fa fatica a donarlo. Attraverso questo chiasmo «prendo amore e amore do», suggellato da un’assonanza della vocale “o”, ci suggerisce quello che tutti dovremmo fare: imparare ad amare e a lasciarci amare.
Dario del Viscio
Giusy Pannone
Isabella Cassetti
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Suggestioni straordinarie. Il gioco d’ ombra…magico!